Il Libano oltre il baratro. «Con 20 euro al mese il sogno è fuggire in Africa»

Il Paese si regge in piedi solo grazie ai 7 miliardi l’anno mandati dagli emigrati

Il Libano oltre il baratro. «Con 20 euro al mese il sogno è fuggire in Africa»
di Nicola Pinna
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Lunedì 13 Marzo 2023, 10:03 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 14:58

IL REPORTAGE
dal nostro inviato
TIRO (LIBANO) Per raggiungere la bottega di Nadir bisogna saltare sette negozi con la serranda abbassata e l'ingresso già sommerso da cartacce e lattine schiacciate. Non è un comune giorno di chiusura settimanale, da qui passa la via crucis della serrata generale. «La media più o meno è questa: un negozio su sette ha dovuto chiudere i battenti», conferma il calzolaio di Tiro, proprietario di un piccolo laboratorio che si affaccia su un porticciolo semidismesso, dove anche i pescherecci sono in secca e semirovesciati. Le metafore della crisi si sprecano nelle stradine del Libano del sud, la striscia di terra da sempre più povera e da decenni più tesa. Ma al di là delle analisi economiche discordanti, e degli impegni di partiti e leader religiosi per uscire dal lunghissimo stallo politico che ha lasciato il Paese senza presidente e senza governo, è la vita quotidiana a raccontare di una nazione sul baratro. Devastata ma ottimista. Incapace di affrontare la quotidianità ma che mostra continuamente un'inspiegabile forza di guardare al futuro. «Prima vendevo borsette di lusso, oggi sistemo scarpe rotte e rattoppo pantaloni, perché la gente non può comprarsi abbigliamento nuovo. Ma io non chiudo dice Nadir perché il nostro è un Paese capace di risorgere».
I TURISTI
Aspettano il ritorno dei turisti, qui a Tiro. Porteranno affari e dollari. Utili ora più che mai per essere barattati con le lire locali, diventate carta straccia che vale sempre di meno. La svalutazione continua sembra faccia comodo solo ai "cambiasoldi" che si presentano con mazzi di banconote in ogni carruggio: i bancomat sono rubinetti a secco e l'unico modo per avere il necessario a fare la spesa è trattare con gli speculatori. Affari illeciti, secondo la legge, ma in un Paese senza guida anche il rischio del carcere fa meno paura. E non sembra un caso che al banchetto all'ingresso della città si fermino pure tre poliziotti. «Lo stipendio non arriva tutti i mesi - raccontano - e quando si portano a casa a malapena venti euro al mese la vita non può che essere un inferno». «Io ero ricca, lavoravo per una banca francese, avevo un ottimo stipendio ammette Madona Baradhi, che dopo la pensione fa la volontaria della Croce Rossa . In tanti anni avevo messo da parte parecchi risparmi, ma la banca mi impedisce di utilizzarli». Peggio se la passano gli anziani e le donne con i bambini che fanno la fila all'ingresso: l'ufficio disperazione è sempre aperto e costantemente affollato. La vicepresidente della Croce rossa Haifa Kerdi fa i conti dell'impegno tra chi non ha più nulla: «Fino allo scorso anno davamo assistenza a circa 1200 persone al mese, ora abbiamo già superato quota 15 mila. E i giovani qui non li avevamo mai visti».

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Il Libano sull'orlo del precipizio si regge in piedi solo grazie ai soldi che arrivano continuamente dall'estero: una cifra che supera i 7 miliardi all'anno e che rappresenta una specie di colletta globale organizzata dagli emigrati che hanno fatto fortuna lontano da Beirut. «I miei fratelli mi mandano da Parigi 300 euro al mese racconta il fruttivendolo Hassan, che passa il pomeriggio dietro a un carretto carico di arance a 200 metri dai resti della città di fondazione fenicia, da cui svettano mastodontiche colonne doriche Per loro è una cifra molto bassa, per noi vale come dieci stipendi».

Il sud bistrattato come ogni meridione, in Libano è diventato quasi una terra promessa. Ci sono i dollari dell'Onu e gli euro dei militari che partecipano alla missione Unifil. La loro presenza adesso è una garanzia doppia: sicurezza e affari per molte aziende. La calma è apparente lungo la Blue line, il cuscinetto di terra su cui Libano e Israele si fronteggiano da mezzo secolo. Il compito di tenere la calma ora è affidato ai militari italiani: 1300 caschi blu che con i colleghi di 48 paesi partecipano alla missione Unifil e schierano qui anche elicotteri e carri armati, oltre ai blindati che di giorno e di notte controllano ogni angolo del confine.

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I PREZZI
Il dossier della quotidianità sul lastrico si costruisce partendo dai distributori di benzina, dove i prezzi sono stati rimossi e dove nessuno si ferma a fare rifornimento. «Un pieno costa quanto uno stipendio e per questo gli insegnanti non vanno a lavorare da mesi», aggiunge Ali Charfeddine, il fondatore del Mosan Center, una scuola per 175 studenti disabili che si regge in piedi grazie all'aiuto dei militari di mezzo mondo che partecipano alla missione di pace Unifil. Tra i ragazzi libanesi da qualche tempo va di moda il sogno di trasferirsi in Africa, dove molti dei più grandi costruttori arrivano da Beirut e dintorni. La fuga verso l'Europa nel 2022 ha fatto registrare un aumento del 176% ma dopo quasi 4 anni di crisi c'è ancora chi è ottimista. A iniziare dal sindaco di Tiro, Hassan Dabouk, che è anche il presidente della più grande aggregazione di comuni di tutto il Libano: «Siamo abituati, ogni quindici anni viviamo un periodo come questo, che però si risolve nel giro di un lustro. Adesso speriamo che i due principali partiti, Amal e Hezbollah, trovino l'intesa per uscire dallo stallo politico. Ma qui il disaccordo è totale, al punto che nelle scuole non insegnano la storia perché non si riesce a scrivere un libro su cui le parti politiche trovino un accordo. Nel frattempo cancelliamo tutto».
 

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