Gran Bretagna al voto, Belfast traballa. A rischio la pacificazione

Gran Bretagna al voto, Belfast traballa. A rischio la pacificazione
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Domenica 8 Dicembre 2019, 17:14
LONDRA Il vento che soffia come quasi sempre dal mare irlandese non è solo un fenomeno meteorologico, a Belfast, a pochi giorni dal voto britannico. Pare il simbolo, quasi un segno, degli effetti di quella Brexit che minaccia di rivelarsi una forza disgregatrice per l'integrità del Regno Unito: alimentando le spinte secessioniste tanto in Scozia, quanto nell'appartata Irlanda del Nord, dove il fuoco dei sanguinosi conflitti del passato continua a covare sotto la cenere. E dove - per la prima volta - i protestanti non sono più maggioranza numerica immutabile. Il cambiamento demografico in corso - assieme alla Brexit - rischia di provocare uno sconquasso costituzionale, avvertono diversi analisti da questo punto di osservazione. E anche così si spiega l'ostinazione gli unionisti nordirlandesi del Dup, contrari a qualsiasi uscita dall'Ue che non garantisca piena uniformità normativa fra Belfast e Londra. Nell'ultima legislatura sono stati la spina del fianco di due governi Tory: prima Theresa May poi Boris Johnson hanno dovuto subirne diktat e aut-aut. «Noi dobbiamo proteggere lo status dell'Irlanda del Nord dentro il Regno Unito - rivendica all'ANSA Nigel Dodds, leader del Dup a Westminster -. L'accordo di Boris Johnson prevede controlli doganali per le merci in transito dalla Gran Bretagna verso di noi, cosa che non dovrebbe esserci in un paese indipendente e sovrano come sarà il Regno fuori dall'Ue». Se la Brexit - minoritaria peraltro nell'Ulster al referendum del 2016 - resta per ora solo una promessa elettorale è in effetti per via dei loro no. «Ci sono persone che voglio separarci dalla Gran Bretagna. C'è stata una campagna terroristica dell'Ira per molti anni, che non ha avuto successo. Ora però c'è chi vuole raggiungere lo stesso obiettivo politicamente». Tramite l'unica via (costituzionalmente) percorribile: un doppio referendum da tenersi in contemporanea a Belfast e Dublino, come previsto dagli storici di pace Accordi del Venerdì Santo del 1998. «Esiste una cornice costituzionale entro cui il referendum potrebbe svolgersi - conferma Jess Sargent, dell'Institute for Government -. Soprattutto ora, dopo che alcuni sondaggi hanno indicato come il 50% dei nordirlandesi sia a favore dell'unificazione». Cresce infatti il sentimento di estraneità da Londra. Se due irlandesi del nord su tre si dicono convinti che il divorzio da Bruxelles renderà più probabile l'unificazione, oltre la metà del campione intervistato a settembre si sente oggi più lontano dal Regno Unito di quanto non fosse solo 5 anni fa. Una traiettoria che sembra indirizzata verso un potenziale quanto lacerante addio alla Corona. In Irlanda del Nord la scelta politica è d'altronde polarizzata, quasi automaticamente, dall'intreccio di correlazioni tra religione e identità nazionale. Come a Belfast Nord, un collegio a maggioranza protestante in mano da sempre alla destra unionista. Ma che nel 2016 ha votato Remain e dove giovedì a farne le spese potrebbe essere proprio il leader Dodds in persona: incalzato nei pronostici da John Finucane, candidato dei repubblicani cattolici dello Sinn Fein e figlio di un avvocato ucciso da paramilitari lealisti durante la cruenta stagione dei Troubles. «La cosa interessante è che anche quelle persone un tempo spaventate dall'idea di una nuova Irlanda oggi si chiedono come sarebbe un'Irlanda unita, e come verrebbe tutelata l'identità degli stessi unionisti», argomenta Finucane, che vincendo potrebbe peraltro paradossalmente aiutare suo malgrado a Westminster il partito conservatore di Johnson: liberandolo dai 'ricattì di Dodds e abbassando il quorum della maggioranza, visto che lo Sinn Fein boicotta il Parlamento britannico rifiutando di mandare i deputati che pure vi elegge. L'Irlanda del Nord resta intanto attraversata da tensioni anche sociali pronte a esplodere. Come testimoniano le Peace Lines, muri di separazione tra quartieri di fede opposta e simboli immobili dei ritardi del processo di pace. «Il ritorno alla violenza ci deve preoccupare - mette in guardia Ben Lowry, vicedirettore del quotidiano Belfast News Letter -. È ancora uno scenario estremo, perché il numero di persone disposte su entrambi i fronti a riprendere le armi è modesto. Ma la rabbia resta tanta». E alle urne potrà farsi sentire.
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