Kabul, una giovane del Cospe: «Tanti morti vicino a me, il canale è diventato color sangue». Feriti trasportati con le carriole

Kabul, una giovane del Cospe: «Tanti morti vicino a me, il canale è diventato color sangue». Feriti trasportati con le carriole
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Giovedì 26 Agosto 2021, 18:49 - Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 00:39

Attentato a Kabul: all'aeroporto diventa sempre più pesante il bilancio delle vittime: «Ci sono molti morti vicino a me e il canale è diventato color sangue» ha raccontato una giovane collaboratrice del Cospe, l'Ong umanitaria in cui operatori dal 1983 sostengono associazioni in 25 Stati e che è presente dal 2008 al 2019 in Afghanistan dove ha allestito progetti sui diritti delle donne e sulla messa in sicurezza di difensori e difensore dei diritti umani. «impegnandosi a fianco di tanti afghani e di tante afghane che hanno lavorato per un cambiamento in senso democratico del loro paese e creduto che si potesse davvero realizzare».

Attentato a Kabul: molti morti

La testimone, ricorda Cospe, non è purtroppo ancora riuscita a salire su un aereo per lasciare il paese e oggi alle 18.30 (ora locale, le 15 in Italia) era nei pressi dell'Abbey gate dello scalo dove l'attentatore suicida si è fatto saltare in aria.

Altri testimoni hanno raccontato di decine di feriti portati verso le ambulanze utilizzando ogni mezzo, anche carriole e barelle improvvisate con teli e paletti di ferro. 

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«L’attentato - è riportato nella note del Cospe - arriva al culmine di giornate tragiche in cui abbiamo cercato di portare in salvo quante più persone possibile tra i nostri collaboratori e collaboratrici e le loro famiglie e dopo poco che avevamo saputo che finalmente una buona parte erano finalmente riusciti ad entrare all’aeroporto, spostandosi proprio da quell’Abbey Gate dove ora si contano le vittime. Si tratta di un gruppo di circa 30 persone tra cui una decina di bambini. Tra loro anche il gruppo delle calciatrici che erano partite da Herat lunedì mattina all’alba, e delle cicliste, seguite in Italia dall’associazione Road to Equality.  Ora sono al sicuro, con cibo e acqua e in attesa di un volo per arrivare in Italia di cui però ancora non abbiamo notizie certe».

 

La folla, viene spiegato, rimane assiepata a lungo nel canale, un fossato che separa la strada dall'ingresso vero e proprio dell'aeroporto. È il «dirty river», di cui viene scritto in molti messaggi che rimbalzano dalla capitale afgana, posto sul perimetro esterno dell'aeroporto. L'esplosione è avvenuta in quei pressi. Superare il 'river' vuol dire essere ammessi all'evacuazione in aereo. «Hanno ucciso tre persone davanti ai miei occhi», dice un'altra afgana, anche lei assistita dalla ong italiana, che a differenza dell'altra invece ce l'ha fatta a entrare nell'aeroporto e può confidare in un volo che la porterà in Italia. Sono entrate dentro lo scalo anche le calciatrici di Herat, la squadra che vinceva i campionati afgani di calcio femminile, e le cicliste della squadra nazionale. Ora aspettano al sicuro di venire in Italia. «Hanno cibo e acqua in attesa di un volo», dicono le ong che si sono occupate del loro caso, anche se per ora non ci sono notizie certe di quando decolleranno. Il gruppo in attesa è formato da circa 30 afgani, tra cui una decina di bambini, ed era finalmente riuscito ad entrare all'aeroporto poche ore prima dell'attentato all'Abbey Gate, il punto dove ora si contano le vittime dell'esplosione kamikaze. Fanno parte di un'unica lista di persone da evacuare. La loro posizione è stata comunicata in modo costante ai paracadutisti del battaglione Tuscania, che da dentro l'aeroporto gestivano le operazioni di protezione, e alle altre autorità, Ministero della Difesa e degli Esteri, che dall'Italia seguivano gli sviluppi dell'evacuazione.

La difficoltà dell'ingresso all'aeroporto, presidiato dai talebani, nei giorni ha scoraggiato alcuni membri del gruppo seguito dal Cospe che non hanno resistito a ore di insonnia, di fame, di sete e a condizioni igieniche precarie, senza servizi e immersi per metà del tempo nel canale che separa la strada dall'ingresso vero e proprio, il «dirty river», appunto. Molti hanno dovuto rinunciare, altri si sono persi nella folla e non si sa dove sono. 

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