Attentato a Kabul, Biden studia la vendetta: i droni contro i jihadisti

Attentato a Kabul, Biden studia la vendetta: i droni contro i jihadisti
di Anna Guaita
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Sabato 28 Agosto 2021, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 10:10

NEW YORK Potrebbero essere i droni o una squadra speciale, alla maniera di quella che uccise Osama bin Laden nel 2012. Biden e i suoi generali studiano la vendetta contro i terroristi dell’Isis-K che hanno rivendicato l’attentato contro l’aeroporto di Kabul, e cercano idee e ispirazione nell’archivio dell’Amministrazione Obama. I droni furono lo strumento preferito dal presidente con cui Biden servì da vice, che li utilizzò in Afghanistan e contro l’Isis in Iraq, allo scopo di non esporre in prima persona i soldati americani. Eppure Obama non esitò a dare il via alla pericolosissima missione dei Navy Seals nel cuore del Pakistan, per la presa di Osama. Biden ha spesso citato la tensione di quelle ore in cui tutta la squadra della sicurezza nazionale seguì la missione a Abbottabad, ma non ha mai ricordato che la cattura e uccisione di Osama aveva richiesto ben dieci anni di ricerche infaticabili. E anche trovare i covi dei militanti dell’Isis-K potrebbe non essere così facile come il presidente spera.

La minaccia dell'Isis-K


Ieri la sua portavoce ha ribadito quello che lui stesso aveva detto il giorno prima: il presidente vuole «morti» i responsabili dell’attacco, e il suo impegno a eliminarli «continuerà finché non sarà successo».

Alla Casa Bianca, rivelano fonti interne, c’è grande commozione e dolore in questi giorni. A centinaia stanno arrivando le condoglianze dei Paesi alleati e fra queste anche un messaggio del presidente Sergio Mattarella che ha assicurato Biden che «Roma resta fermamente determinata a contrastare, insieme agli Stati Uniti e agli altri partner internazionali, ogni forma di terrorismo e di violenza fondamentalista».


Al dolore nei corridoi della Casa Bianca si mescola la rabbia profonda per il sacrificio dei 13 giovani militari Usa. Biden sembra averla presa come una ferita personale, quasi avesse di nuovo perso il figlio Beau, veterano dell’Iraq ucciso da un cancro nel 2015. Difatti ha dato ordine al Pentagono di trovare il modo di colpire i covi e i leader jihadisti già nelle prime ore dopo l’attentato. Ma in realtà, il grosso del lavoro dovrà essere compiuto dalla Cia, che per l’appunto con l’uscita dall’Afghanistan ha perso uno dei punti di osservazione più preziosi. E’ vero che ieri i Talebani hanno compiuto il gesto di chiedere agli americani di conservare una presenza consolare a Kabul, ma certo non si tratterebbe mai della vasta ambasciata che gli Usa avevano prima e che permetteva ogni sorta di spionaggio.

Andati sono anche gli informatori, quasi tutti trasferiti all’estero con i voli di soccorso.
E intanto la Russia si oppone a che gli Usa usino le ex repubbliche sovietiche come base di partenza di missioni militari, come invece era successo all’inizio della guerra contro l’Afghanistan. Qualsiasi missione, una volta chiusa la porta dietro le spalle, dovrà dunque partire dalle basi nel Golfo. Questo significa che i droni arriveranno “stanchi” e avranno un raggio di azione limitato una volta sui cieli afghani. Sarà dunque difficile usarli come spie, o almeno sarà necessario usarli per spiare zone limitate, in un Paese vasto e montuoso. Una volta identificati eventuali covi, la missione diventerebbe più facile, e si potrebbe ricorrere a una squadra speciale paracadutata o addirittura a un missile.

La superiorità tecnologica delle forze armate Usa è indiscutibile, e un successo sarebbe quasi sicuro.
Ma bisogna prima trovare i covi. L’Isis-K è nota per la dedizione da asceti dei suoi combattenti, che in certe situazioni si sono rivelati capaci di sopravvivere nel rigido inverno afghano sui monti cibandosi solo di pinoli. Per Biden potrebbe diventare inevitabile chiedere la collaborazione dei Talebani stessi. Già adesso gli studenti coranici stanno collaborando con gli americani, come la stessa portavoce della Casa Bianca ha riconosciuto ieri: «La realtà è che i Talebani controllano ampie porzioni di Afghanistan, compresa l’area che circonda il perimetro dell’aeroporto... e adesso dobbiamo continuare a coordinarci, questo è il nostro focus per il prossimo paio di giorni».


E non è affatto detto che non ci sia già un accordo anti-terrorismo fra la Cia e i Talebani. Non va dimenticato che il capo della Cia in persona è andato a Kabul nei giorni scorsi per un incontro a quattrocchi con il leader politico dei talebani, Abdul Ghani Baradar. Ieri, col chiaro intento di riscuotere approvazione, il portavoce talebano ha annunciato che le donne possono tornare a lavorare negli ospedali e che «l’arrivo dell’Emirato islamico non rappresenta un problema o un ostacolo per loro».
 

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