Israele, rivolta popolare: Netanyahu congela la riforma della giustizia

Bloccati l’aeroporto e i principali porti, gli ospedali, le banche, le scuole, l’università, gli uffici pubblici, i centri commerciali

Israele, rivolta popolare: Netanyahu congela la riforma della giustizia
di Raffaele Genah
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Lunedì 27 Marzo 2023, 23:18 - Ultimo aggiornamento: 23:37

GERUSALEMME La svolta arriva con i telegiornali della sera. L’annuncio di Netanyahu matura al culmine di una settimana come non se ne ricordavano nei 75 anni di vita dello Stato ebraico. «Ho deciso di rinviare la seconda e la terza tornata di voti alla Knesset sulla riforma della giustizia per favorire il dialogo. Vogliamo fare gli aggiustamenti necessari». Parole di distensione, anche se nel discorso non manca l’attacco contro «una minoranza estremista che sta lacerando il paese e che fomenta alla disobbedienza». I toni del premier sono molto diversi da quelli usati solo ventiquattr’ore prima, quelli usati contro il ministro della Difesa Gallant, licenziato per aver chiesto proprio ciò che oggi Netanyahu e i suoi alleati concedono sotto la pressione di una protesta che va avanti oramai da dodici settimane. «Cercheremo di raggiungere un accordo», dice il premier, ma in realtà c’è bisogno di tempo per comporre le controversie. «Di fronte abbiamo una opportunità unica: costruire di nuovo il nostro Paese, la nostra nazione». 


LA CONTESA
La riforma che vuole ridefinire e ridimensionare il ruolo della Corte Suprema, resta comunque in campo («Va fatta», ribadisce il capo del governo) con l’obiettivo di essere approvata entro la fine della sessione dei lavori della Knesset, cioè prima della pausa estiva. La disponibilità di Netanyahu è stata accolta di buon grado anche dall’opposizione di Lapid e Ganz che si sono detti disposti a intavolare una trattativa sotto la regia del capo dello Stato Herzog: «Dobbiamo opporci a una guerra civile ma non accetteremo compromessi sui principi fondanti della democrazia». Il no alla riforma in questi giorni ha paralizzato il paese. Bloccati l’aeroporto e i principali porti, gli ospedali, le banche, le scuole, l’università, gli uffici pubblici, i centri commerciali e si è estesa perfino all’estero, alle rappresentanze diplomatiche sparse nel mondo, compresa l’ambasciata di Roma.

Un ulteriore blocco era stato proclamato già per le prossime ore dal principale sindacato, l’Histadrut, che finora si era astenuto dal promuovere iniziative di protesta, lasciando alla piazza l’organizzazione delle manifestazioni cominciate tre mesi fa. Ma dopo le dichiarazioni di Netanyahu lo sciopero è stato revocato, mentre i promotori delle imponenti dimostrazioni di queste settimane preferiscono aspettare cautamente lo sviluppo del dialogo e delle trattative annunciate. Le manifestazioni, che erano continuate anche durante la notte precedente in molte città dal Nord al Sud, nel corso della giornata di ieri si sono riversate lungo le strade intorno alla collina di Gerusalemme su cui torreggia la Knesset. Un’onda in piena cresciuta, con l’arrivo di decine di migliaia di persone da ogni parte del Paese. Nel pomeriggio c’era stata anche una contromanifestazione organizzata dalla destra con cartelli e slogan contro i «traditori di sinistra» e un avvertimento preciso: «Non ci faremo rubare le elezioni».
In quelle stesse ore nei palazzi governativi poco distanti si consumava una interminabile trattativa tra Netanyahu e i suoi scomodi alleati. 


LA MEDIAZIONE
Un mosaico che si componeva e si scomponeva tra spaccature, minacce di dimissioni, richieste di precisi impegni da assumere. E da questa infinita trattativa è spuntata la richiesta al premier, da parte di Itamar Ben Gvir, il ministro ultranazionalista della pubblica sicurezza, di adoperarsi per creare una Guardia nazionale, un corpo civile che dovrebbe occuparsi di sicurezza, alle sue dirette dipendenze.

In sostanza dovrebbe trattarsi di una struttura che affiancherebbe i corpi di polizia già esistenti e che godono di una propria autonomia e con cui il ministro ha già avuto modo in questi mesi di polemizzare.

Un’idea di cui Ben Gvir aveva parlato per la prima volta in occasione della guerra con Hamas nel 2021. In cambio di questa concessione lo stesso ministro della pubblica sicurezza ha accettato di rimuovere il suo veto al congelamento della vituperata riforma della giustizia. E la proposta dovrebbe essere esaminata già in uno dei prossimi consigli dei ministri. 


Ora si riparte dal Presidente Herzog che aveva presentato una sua base di proposta per superare un provvedimento che ha spaccato il Paese in due, radicalizzato lo scontro politico e, soprattutto, ha lacerato profondamente il tessuto sociale come mai era accaduto. 
 

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