Scade l'ultimatum dell'Iran, muore l'accordo con Usa e Ue. E a rimetterci è l'Italia

Il presidente iraniano Hassan Rohani
di Pietro Piovani
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Domenica 7 Luglio 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 9 Luglio, 11:14
L'Italia e l'Iran sono sempre stati paesi amici o meglio, per dirla in modo più concreto, hanno sempre fatto affari insieme. «Anche nei difficilissimi anni della guerra, l'Italia ha sempre continuato a collaborare con l'Iran» ricorda Hamid Bayat, l'ambasciatore a Roma. L'interscambio tra i due paesi è storicamente superiore a quello di qualunque altro stato europeo, nel 2017 era arrivato a 5 miliardi di euro. Ma negli ultimi tempi le cose sono cambiate e le ragioni sono due: le sanzioni che tutto l'occidente ha adottato per volere degli Stati Uniti; e la nuova maggioranza di governo molto vicina (almeno nella sua componente leghista) alle indicazioni di Washington. Oggi il rapporto tra iraniani ed europei vede un ulteriore peggioramento con la scadenza, proprio in queste ore, dell'ultimatum lanciato da Teheran: l'Iran fa il passo formale di superare il limite di arricchimento dell'uranio concordato con Usa, Ue, Cina e Russia, ritirandosi ufficialmente dall'accordo firmato nel 2015. Ufficialmente ma non irreversibilmente perché, spiega l'ambasciatore iraniano, «le occasioni non sono finite: abbiamo ancora Instex, ma bisogna aderire, l'Italia aderisca a Instex».

Instex è il sistema che i Paesi europei hanno messo in piedi per aggirare le sanzioni di Trump. Il meccanismo funziona così: l'Iran ricomincia a vendere petrolio all'Europa, e il ricavato finisce in un fondo attraverso il quale Teheran può finanziare le importazioni, che però sono limitate ad alcune categorie di prodotti: beni essenziali e non sanzionabili come gli alimentari, i farmaci, i dispositivi medici. Il fondo esiste, è stato creato, ma fino a oggi non ha consentito di concludere neanche una sola transazione. L'ambasciatore del resto ricorda come l'Italia, attraverso la sua società petrolifera, aveva goduto di sei mesi di esenzione dalle sanzioni internazionali: «L'Eni poteva acquistare il nostro petrolio, ma per sue considerazioni ha preferito non farlo». Tante piccole e medie aziende italiane – sottolinea Bayat - vorrebbero investire in Iran, ma non possono farlo non potendo accedere al credito: «Abbiamo chiesto ripetutamente, su indicazione delle vostre imprese, di individuare piccole banche che non hanno legami internazionali e che potrebbero essere autorizzate a fornire lo strumento creditizio per far lavorare le vostre imprese in Iran».

Il messaggio inviato da Teheran è esplicito: se la Ue (che in questo caso significa innanzitutto l'Italia) ricomincerà a comprare il petrolio iraniano, l'Iran fermerà subito il programma di arricchimento dell'uranio. «Appena vedremo gli europei adempiere i loro obblighi, noi saremo pronti a tornare sui nostri passi» ha detto Rohani. Quante probabilità ci sono che questo accada? Praticamente nessuna. Tutti sanno che sono gli Stati Uniti a dettare le regole del gioco, per l'Europa e per le sue imprese è impossibile giocare la partita in proprio, e a Teheran non resta che aspettare le elezioni presidenziali del 2020, incrociare le dita e tifare per la sconfitta di Donald Trump: con il ritorno di un democratico alla Casa Bianca la questione si potrebbe riaprire.

Nel frattempo gli iraniani non stanno certo con le mani in mano. Pressato da una lunga crisi economica, il paese degli ayatollah ha bisogno di vendere il suo petrolio per sostenere la bilancia commerciale, e se a comprare non è l'Ovest c'è sempre l'Est: russi e soprattutto cinesi stanno concludendo ottimi affari, nei mesi scorsi le raffinerie della Cina hanno fatto massiccia scorta di greggio a un buon prezzo, e in cambio l'Iran è diventato un grande importatore di prodotti cinesi, acquista dal colosso asiatico tecnologia e commissiona alle imprese di Pechino grandi opere infrastrutturali. Insomma la rottura dei rapporti con Teheran si conferma, come era stato previsto sin dall'inizio, un danno per gli europei e una grande occasione per gli altri. L'ambasciatore iraniano la mette così: «In questa partita, per l'Europa appoggiare l'Iran significa appoggiare l'Europa stessa». Ma per adesso l'Europa è obbligata a farsi del male.
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