Libia, la tregua non c'è: è rischio guerra regionale. «Migliaia di miliziani in arrivo»

Libia, la tregua non c'è: è rischio guerra regionale. «Migliaia di miliziani in arrivo»
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Giovedì 30 Gennaio 2020, 20:35 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 00:44

Venti di guerra. La tregua in Libia ormai esiste solo sulla carta e gli attori stranieri continuano a rifornire di armi i contendenti rischiando di provocare un conflitto capace di coinvolgere «l'intera regione». Undici giorni dopo la conferenza di Berlino, che aveva riunito al capezzale della Libia i rappresentanti delle potenze regionali e globali, il bilancio dell'inviato speciale dell'Onu, Ghassan Salamé, sembra un bollettino della disfatta. E intanto l'Algeria si propone per ospitare un nuovo «forum di riconciliazione tra le parti».

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Libia, le violazioni già registrate sono 110

Sulla tenuta del cessate il fuoco, in realtà, fin dal principio nessuno si era fatto eccessive illusioni, visto che i segnali arrivati dal consesso nella capitale tedesca non erano stati dei migliori. Primo fra tutti il fatto che i leader dei due schieramenti nemici, il capo del governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, non si erano nemmeno incontrati, né avevano firmato alcuna intesa personalmente. Ma ora le parole del mediatore delle Nazioni Unite, pronunciate al Consiglio di Sicurezza, sanciscono una situazione drammatica, se possibile ancor più delle 110 violazioni della tregua ufficialmente registrate dall'Unsmil, la missione dell'Onu per la Libia. A questo si aggiungono le ripercussioni economiche su un Paese già disastrato, con una perdita stimata a 562 milioni di dollari per il blocco delle esportazioni petrolifere imposto dalle forze di Haftar. «Ho chiesto di riattivare subito i terminal per l'esportazione», ha affermato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio parlando in Senato, sottolineando che il blocco produce «un danno economico da 89 milioni di dollari al giorno».
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Diventa più drammatica anche la situazione dei profughi, con l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) che ha deciso di sospendere le sue operazioni presso il centro per la raccolta e le partenze (Gdf) di Tripoli. Di Maio ha detto che il suo dicastero si attiverà con quello dell'Interno per proseguire il dialogo con il governo di Al Sarraj a proposito dei centri di detenzione per migranti nel Paese nordafricano, precisando che attualmente vi sono in Libia «700.000 migranti, di cui circa 3.000 nei centri di detenzione». Una situazione che rappresenta anche «un rischio terrorismo a pochi chilometri dalle nostre coste», ha sottolineato il ministro degli Esteri. Esprimendo «rabbia e disappunto» per la situazione in Libia, Salamé ha accusato i Paesi stranieri coinvolti nel conflitto di avere violato gli impegni presi a Berlino, inviando nel Paese «armi, equipaggiamenti, fanteria». Sul banco degli imputati, più che la Russia e gli Emirati arabi uniti schierati con Haftar, sembra essere la Turchia, sostenitrice di Al Sarraj: «I combattenti stranieri arrivano a migliaia a Tripoli», ha affermato l'inviato dell'Onu, confermando in sostanza quanto detto dal portavoce dell'Esercito nazionale libico di Haftar, secondo il quale «sono 3.000 i mercenari da Siria e Turchia trasportati nelle città libiche».

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Anche la Marina francese ha confermato che una fregata turca ha scortato ieri una nave libanese che trasportava mezzi blindati a Tripoli. Ma il ministero degli Esteri di Ankara ha reagito tornando ad accusare la stessa Francia di sostenere a sua volta Haftar. Per Di Maio, che sottolinea l'equidistanza dell'Italia tra i contendenti, la via verso una pacificazione si potrà aprire solo con il rispetto dell'embargo sulle armi, e la Ue deve farsi carico direttamente del problema. «Serve una missione europea che abbia un mandato preciso e unico sull'embargo delle armi in Libia», ha sottolineato il capo della Farnesina. «La riattivazione della missione Sophia, solo come missione navale non basta. Serve - ha insistito Di Maio - un rafforzamento aereo e terrestre».

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