Grano dall'Ucraina, stop russo all’intesa: tre giorni per salvare l'accordo

Scadono i patti per far partire i beni alimentari nel Mar Nero. Mediazione turca. Meloni a Zelensky: essenziale il rinnovo

Grano dall'Ucraina, stop russo all intesa: tre giorni per salvare l'accordo
di Francesco Bechis e Gabriele Rosana
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Lunedì 15 Maggio 2023, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 00:24

È una corsa contro il tempo. Scade fra tre giorni, il 18 maggio, la Black Sea Initiative, l’accordo tra Russia e Ucraina per esportare grano e cereali dal Mar Nero mediato dall’Onu e dalla Turchia. Di un rinnovo però, oggi, non c’è certezza. Mosca prende tempo, trattiene le navi mercantili in acque turche per “ispezioni”. Alza la posta ai tavoli negoziali che ad Ankara, nei giorni scorsi, si sono risolti in un nulla di fatto.

 
I TIMORI ITALIANI
Lo stallo preoccupa in queste ore il governo italiano.

Dal patto per l’export di grano, che da luglio scorso ha permesso all’Ucraina di esportare 29 milioni di tonnellate di cereali, gran parte destinata a Paesi in via di sviluppo, dipende infatti la stabilità dell’Africa settentrionale e subsahariana. Crisi alimentare, instabilità politica, flussi migratori verso Nord. È la spirale che va fermata nelle prossime 72 ore. In campo, per mediare, c’è anche la Santa Sede.

 
Al presidente ucraino Volodymyr Zelensky in visita a Roma, la premier Giorgia Meloni lo ha detto senza mezzi termini: per l’Italia «è essenziale» il rinnovo e il rispetto dell’accordo «oltre il 18 maggio». Categorico, garantire il «libero flusso dei prodotti agricoli nel Mar Nero». Per questo Roma sostiene «ogni iniziativa» dell’Onu e del World Food Programme per sbloccare l’impasse. Del resto bastano i dati delle Nazioni Unite a spiegare i timori italiani. Tra i Paesi che rientrano nel programma per la salute alimentare dell’Onu e a cui è destinato il grano dall’Ucraina, diversi sono all’intersezione delle rotte migratorie dirette verso le nostre coste. Il 42 per cento delle navi cargo salpa per l’Etiopia, il 24 per cento verso lo Yemen, e poi Afghanistan, Sudan, Kenya, Somalia, Djibouti. Ora l’intesa è a rischio: il governo russo ha fatto sapere che se entro il 18 non si troverà un accordo per rinnovare il corridoio del grano, lo considererà «decaduto».

 
È una battaglia che va avanti da mesi. Rinnovato per sessanta giorni il 18 marzo, il patto prevede un passaggio sicuro delle navi mercantili sotto il vigile controllo di funzionari Onu, russi e ucraini riuniti in un centro di controllo ad Istanbul (Jcc). La Turchia, ora nelle rapide delle elezioni presidenziali, fa da garante. Si scoprirà nelle prossime ore se la mediazione di Ankara sarà sufficiente. I colloqui fra russi e ucraini giovedì nella capitale hanno segnato pochi passi avanti. E se un’intesa è ancora possibile, non promette bene il tiro al rialzo russo: il Cremlino chiede di rimuovere qualsiasi sanzione occidentale sull’export di cibo e fertilizzanti ma anche il ripristino del sistema di pagamento Swift per la Banca agricola russa (Rosselkhozbank).

 
Queste le richieste. Anzi, «i ricatti» tuonano ucraini e americani. Nel frattempo più di venti navi sono bloccate in acque turche in attesa di ispezioni russe, con un carico da oltre un milione di tonnellate di grano e viveri. Se lo stallo si sbloccherà, si tratterà di un rinnovo di corto respiro: sessanta giorni. Poi, chissà. E anche questo angustia il governo italiano già in allarme per un’estate che si preannuncia drammatica sul fronte migratorio, con stime che parlano di 200mila migranti in arrivo dalla rotta africana e del Mediterraneo orientale entro la fine dell’anno.

 
LE TENSIONI IN UE
Come non bastasse, sull’incerto futuro dell’esportazione dei cereali ucraini nelle scorse settimane si è spaccata anche l’Europa. A metà aprile la Polonia ha bloccato unilateralmente le importazioni di cereali dall’Ucraina attraverso i corridoi verdi, su gomma e rotaia, istituiti dall’Ue. Il governo polacco è stato seguito a ruota da Ungheria, Slovacchia e Bulgaria.

 
L’accusa? Il grano di Kiev, invece che arrivare ai Paesi in via di sviluppo in Africa e Medio Oriente, è finito nei mercati locali dell’Est-Europa, aumentando l’offerta e così riducendo i prezzi e i guadagni per gli agricoltori connazionali. La Commissione ha siglato una tregua stanziando 100 milioni di euro di aiuti aggiuntivi per i settori agricoli colpiti dal dumping ucraino. Ma anche questa intesa naviga in acque agitate.
 

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