Francia e Italia, gli effetti diversi delle proteste in piazza

di Mauro Calise
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Lunedì 19 Novembre 2018, 01:02
Messo a confronto con i cugini francesi, il governo gialloverde sembrerebbe – per il momento – messo meglio. È vero che siamo alla vigilia di uno scontro frontale con l’Europa, ma almeno a Salvini e Di Maio sono stati – finora – risparmiati gli scontri di piazza che hanno messo la Francia a soqquadro. Magra consolazione, direte. Basterebbe, però, immaginare cosa si scatenerebbe in Italia se ci fossero cento e rotti blocchi stradali, la polizia – agli ordini del capo leghista – caricasse, e – come purtroppo avviene in questi casi – ci scappasse addirittura il morto. Visto così, lo scenario cambia. Può succedere anche da noi? Dopotutto, pochi giorni fa anche a Roma e a Torino abbiamo avuto manifestanti antigovernativi. Ci sono analogie? O, al contrario, Lega e grillini sono al riparo da una contestazione di massa, alla francese?

Comparare i due paesi è utile per due importanti ragioni. La prima è che Macron ha incarnato, agli esordi, la risposta di maggior successo dell’establishment all’assalto populista. Una vittoria ottenuta sposando il linguaggio antisistema della Le Pen – e di Salvini, Di Maio, Orban & company – ma senza mollare l’ancoraggio al baluardo europeo. Revolution – il libro manifesto di En Marche – ha promesso un cambiamento radicale, ma evitando di scombussolare l’impianto economico e finanziario del paese, di cui lo stesso Macron era stato ben partecipe in prima persona. È la scommessa tentata da Renzi, e fallita dopo un avvio promettente. Ora sembrerebbe che il vento stia cambiando anche per il presidente francese. Che il popolo si sia disamorato, si senta ingannato e vorrebbe che se ne andasse a casa. Dunque, Macron come Renzi? 

Niente affatto – è la seconda ragione - per una differenza fondamentale che ci separa dai francesi. Con meno di un quarto dei votanti al primo turno, Macron – grazie al ballottaggio e al sistema semipresidenziale – si è seduto su uno scranno da cui nemmeno i sanculotti coi forconi riuscirebbero – prima della scadenza – a cacciarlo. Certo, i disordini non giovano alla sua immagine e potranno avere qualche conseguenza sul governo. Ma si tratta di ammaccature. Niente di paragonabile allo tsunami che travolgerebbe – in circostanze di piazza analoghe – qualunque inquilino di Palazzo Chigi. Col che veniamo alle prospettive per il duo Salvini-Di Maio.
Se si guarda la dote elettorale, siamo intorno al cinquanta per cento, salita addirittura al sessanta secondo gli ultimi sondaggi. Ma, come si sa fin troppo bene, l’Italia è una repubblica parlamentare, per di più – oggi – fondata sul proporzionale. Vuol dire che la maggioranza dei seggi in Senato e alla Camera è il minimo indispensabile che serve per potere tirare a campare. Per – loro – fortuna, i gialloverdi i numeri ce li hanno. E anzi, i sondaggi confermano che il popolo populista li segue.

A dispetto delle continue baruffe e innumerevoli prove di incapacità amministrativa di cui continuano a fare sfoggio. Già. Ma se cambiasse il vento? Se anche la loro luna di miele – come sembra stia succedendo a Macron – prendesse una brutta piega? Mentre un calo anche brusco di consensi non scalfisce l’inquilino dell’Eliseo – Hollande è andato avanti malgrado fosse precipitato poco sopra il dieci per cento – Di Maio e Salvini hanno un maledetto bisogno di restare sulla cresta dell’onda. Per questo – come ha scritto Gianfranco Pasquino – stanno andando in un «chicken game» a testa bassa contro i commissari europei. Meglio beccarsi qualche sanzione che esporsi all’accusa di traditori da parte dei propri elettori. E se avessero avuto qualche dubbio, proprio i disordini francesi glielo hanno fatto passare.

Il vantaggio dei populisti nostrani rispetto al collega francese è che quello di Macron era – ed è – un populismo di bandiera. Una versione estremamente soft, che può reggere solo grazie alla blindatura istituzionale. I diumviri italiani, invece, hanno soffiato con convinzione e coerenza sul vento della rivolta. Ricavandone un bottino eclatante. Ma oggi sono costretti a cavalcarlo. Sanno che se e quando il vento gli si dovesse voltare contro, si tratterà di una tempesta.
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