Facebook, la censura non è per tutti: vip e politici tutelati dalla lista XCheck

Limiti sì, ma non per tutti: così Facebook salva i vip
di Flavio Pompetti
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Mercoledì 15 Settembre 2021, 00:09

NEW YORK Facebook è una piattaforma nella quale tutti giocano alla pari: i comuni utenti possono dire la loro con la stessa autorevolezza e la stessa libertà concessa ai ricchi e ai potenti. Ma nella realtà alcuni dei frequentatori della rete sono più uguali degli altri, e non rispondono alle stesse regole richieste ai comuni mortali. Per l’esattezza questa casta di privilegiati si compone di 5,8 milioni di persone: dirigenti d’azienda, politici, giornalisti e celebrità, i cui profili sono inseriti in una “lista bianca” conosciuta come XCheck, che è legata ad un particolare trattamento riguardo al contenuto comunicato.

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I LOGARITMI
Prendiamo ad esempio il caso del “revenge porn”, la pratica di un ex amante di vendicarsi del partner pubblicando materiale sessuale compromettente.

Sappiamo che il fenomeno oltre che illegale può divenire letale per la vittima che lo subisce, al punto da spingerla al suicidio. I logaritmi che governano Facebook sono istruiti a identificare questi messaggi e a cancellarli nello spazio di secondi, e in caso di recidiva, l’autore viene espulso dalla rete. La storia è diversa se a pubblicare testo, foto e video è un utente che si chiama Neymar da Sila Santos Junior, con 150 milioni di follower alle spalle. Il calciatore due anni fa fu accusato da una donna brasiliana di averla stuprata. La sua reazione è stata quella di mettere sul suo profilo foto di lei nuda, e denunciarla in un video come una profittatrice. La falce censoria dell’algoritmo in questo caso si è bloccata, e la pratica è stata inviata all’esame di una commissione di revisori. Quando il messaggio è stato rimosso il giorno dopo, il contenuto era stato già visionato da 56 milioni di persone.

Facebook ha creato XCheck per proteggersi dall’ira di grandi e potenti personaggi che non tollerano la museruola del controllo. Il numero dei vip però è cresciuto al punto da creare un evidente problema di democrazia all’interno della rete. E poi a conferma che l’imbecillità non ha confini di censo o di bandiera, la licenza ha partorito piccole gemme della disinformazione, come il rimbalzo dell’idea che Hillary Clinton sia la protettrice di un racket per lo sfruttamento della pedofilia, o quella che Donald Trump avesse definito “animali” gli immigranti ammassati alla frontiera messicana in cerca di entrare negli Usa. Entrambi i contributi sarebbero stati cassati dai censori del sito social se fossero stati proposti dai comuni peoni che lo frequentano. Sono invece riusciti a bucare le maglie per via della loro provenienza privilegiata, e la pubblicazione sulla mega piattaforma di Facebook ha garantito una diffusione universale.

I DOCUMENTI
Sono stati i documenti fatti trapelare da una talpa, e pubblicati dal Wall Street Journal, a rivelare l’entità del problema. L’azienda ne è ben cosciente e due anni fa ha commissionato un’inchiesta interna. Il risultato è un rapporto che definisce la pratica «troppo diffusa e indifendibile». Il comitato dei revisori sta cercando di riformarla, e si è impegnato entro la fine dell’anno ad eliminare almeno le violazioni più eclatanti da parte degli appartenenti alla lista del codice di condotta che vige per tutti gli altri utenti.
 

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