Aereo caduto in Etiopia, l'ultima frase di Paolo: parto per non lasciarli soli

Aereo caduto in Etiopia, l'ultima frase di Paolo: parto per non lasciarli soli
di Maria Lombardi
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Lunedì 11 Marzo 2019, 07:39 - Ultimo aggiornamento: 10:43
Disperso nel cielo dell'Etiopia, e non c'era cielo che amava di più. Come se il suo destino fosse lì. «Un'incredibile coincidenza», sospira con dolore Giulia Olmi collega e amica di Paolo Dieci. «Lui amava quel paese, era vissuto lì tanti anni. La sua prima missione era stata aprire la sede del Cisp in Etiopia». Aveva fondato a Roma nel 1983 con 28 amici il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli, una delle prime cinque Ong in Italia. Adesso il Cisp è in 26 paesi, ci lavorano in 600. «Paolo era il nostro collante, un incoraggiatore, una persona positiva. Ci metteva una passione fortissima e un grande entusiasmo nel suo lavoro», ancora Giulia. Il lavoro di Paolo Dieci, 58 anni, tra le vittime del disastro aereo in Etiopia, era quello di aiutare gli altri. Gli ultimi, gli esclusi, in qualunque parte del mondo. Aveva anche fondato ed era presidente della Link 2007 cooperazione in rete, che raggruppa 14 ong italiane.

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«Vado in Somalia per far sentire ai nostri cooperanti che non sono soli», aveva detto al telefono prima di imbarcarsi a Fiumicino all'amico Nino Sergi, presidente emerito di Intersos. Partenza da Roma alle 11 di sabato con un volo della Ethiopian Airlines diretto ad Addis Abeba, viaggiava sempre con quella compagnia, la considerava sicura e affidabile. «Ha parlato anche con noi, ci sentivamo tante volte al giorno», i colleghi e fondatori del Cisp sono adesso tutti nella sede di via Germanico che si trova - altra incredibile coincidenza - davanti casa di Maria Pilar Buzzetti, una delle vittime dell'incidente aereo. Paolo era diretto a Nairobi, «abbiamo sperato fino all'ultimo che il suo volo fosse in ritardo». Nello scalo della capitale del Kenya lo aspettavano il direttore di Cisp Africa e altri funzionari per partire insieme per Mogadiscio. Progetti educativi e sanitari da portare avanti in Somalia, «poi sarebbe tornato in Etiopia e quindi a Roma, tra una settimana».

Paolo Dieci parlava anche l'amarico, lingua ufficiale etiope, ed era un eccellente africanista, oltre che docente in master di cooperazione internazionale e sviluppo a Pavia, Nairobi, Betlemme. Maturità classica al Mamiani e poi laurea in filosofia, con Tullio De Mauro. Due mogli e tre figli: Sela, la più grande nata dal matrimonio con una etiope e che ora vive a Roma, e poi Giacomo, 20 anni studente alla facoltà di ingegneria del mare a Ostia e Cecilia, 17 anni, liceale, i due figli avuti con Maria Luisa Mattioli, medico di base. «Una coppia straordinaria, affiatata e amorevole. Lui, di una premura e una gentilezza mai conosciute». Sotto casa, all'Aurelio, ieri sera erano ferme due auto del corpo diplomatico. «Il mondo della cooperazione perde tantissimo», ripetono tutti. Ha lavorato anche alla riforma della legge del settore e a Castelnuovo di Porto per l'inserimento dei richiedenti asilo. «Continueremo a portare avanti i suoi progetti», promette il sindaco Riccardo Travaglini.
Tempi duri, per lui, questi. «Dolore assoluto. Assieme ai migranti sta morendo la nostra società. Reagiamo con la forza della ragione e con umanità prima che sia troppo tardi», scriveva Paolo su fb postando foto dei migranti di Castelnuovo. Ora si sentono soli, al Cisp, ma «domani ricominceremo a lavorare per affermare i diritti di ogni essere umano come avrebbe fatto lui».
 
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