Beirut, scontri per l'anniversario dell'esplosione di un anno fa: 54 feriti

Beirut, scontri: manifestanti sfondano l'area del parlamento
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Mercoledì 4 Agosto 2021, 18:54 - Ultimo aggiornamento: 5 Agosto, 15:15

È passato un anno dalla terribile esplosione che ha sconvolto Beirut e tutto il Libano. Il giorno della commemorazione, però, è segnato da tensioni altissime con scontri in piazza.

Erano le 18.08 del 4 agosto 2020 quando nel porto di Beirut esplosero 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio: un boato fortissimo, che scosse la città come un terremoto, lasciando morte e distruzione con oltre 200 vittime e 6 mila feriti. Tanti di loro sfigurati per sempre. E, a un anno esatto da quella drammatica giornata, in un Libano in ginocchio nella morsa di una crisi economica e politica, è esplosa la rabbia. Proprio a ridosso del minuto di silenzio per ricordare i morti, con migliaia accorsi alla commemorazione, sono scoppiati gli scontri nel cuore della capitale. I manifestanti hanno cercato di sfondare le barriere a tutela del Parlamento e si sono scontrati con la polizia, a colpi di pietre e lacrimogeni. Il bilancio della tensione parla di almeno una sessantina di feriti, ma è un forte segnale d'allarme del clima nel Paese dei Cedri, ormai allo stremo e dove manca tutto. Una crisi gravissima, quella libanese, su cui è intervenuto anche papa Francesco con «un appello alla comunità internazionale» ad «aiutare il Libano a compiere un camino di resurrezione con gesti concreti, non con parole soltanto». E lo ha fatto proprio mentre a Parigi si riuniva la Conferenza dei donatori, la seconda in pochi mesi, che ha raccolto promesse di aiuti per circa 370 milioni di dollari (100 dalla Francia e 100 dagli Usa), superando sia l'obiettivo di 357 milioni fissato alla vigilia, sia i 330 milioni messi insieme l'anno scorso. L'anniversario della deflagrazione - una delle più potenti tra quelle non nucleari della storia - è stato segnato dal dolore ma anche dalla rabbia in un Paese da due anni travolto dalla sua peggiore crisi finanziaria a causa del fallimento del sistema bancario. Alla conferenza dei donatori, organizzata proprio nel giorno del primo anniversario della strage dalla Francia e dall'Onu, ha partecipato tra gli altri il presidente americano Joe Biden. Il presidente Macron è tornato ad accusare duramente i membri della classe politica e istituzionale libanese, alcuni dei quali presi di mira da non meglio precisate sanzioni imposte dall'Ue: compite un errore storico morale perché scommettete sul deterioramento della situazione, ha detto Macron. Biden ha ricordato che «nessun aiuto sarà mai sufficiente se i politici libanesi non si impegnano a svolgere il duro ma necessario lavoro di riforma».

La parente di una vittima dell'esplosione del 4 agosto 2020 (EPA)

E il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha sottolineato, in collegamento con i lavori, «l'importanza dell'impegno della Comunità internazionale a sostegno del popolo libanese e a favore della ripresa nel Paese, sforzo cui l'Italia concorre con convinzione attraverso un ampio ventaglio di iniziative». Mentre i leader stranieri discutevano in videoconferenza e poco dopo l'ennesimo botta e risposta militare tra Israele e non meglio identificati gruppi armati autori di lanci di razzi dal territorio libanese verso lo Stato ebraico, la ferita mai chiusa della tragedia del 4 agosto è andata in scena nelle vie e nelle piazze di Beirut. Prima, con una serie di cortei minori organizzati da vari gruppi di gente comune, attivisti, sindacati, organizzazioni della società civile. E, poi, con un raduno di migliaia di persone sul viale antistante al porto spazzato via dall'esplosione di quel materiale pericoloso, per 7 anni immagazzinato in uno degli hangar dello scalo marittimo, nel cuore della città. Dopo la commovente commemorazione scandita da scampanii di chiese e canti di Corano da parte dei muezzin delle moschee, la rabbia si è così trasformata in collera con i violenti scontri. Il parlamento è chiamato da settimane a pronunciarsi sulla richiesta della procura di Beirut di togliere l'immunità istituzionale a una serie di deputati e ministri accusati dall'inchiesta in corso di avere gravi responsabilità per l'esplosione del porto.

Il paese non ha un governo nel pieno dei suoi poteri proprio dall'agosto del 2020 quando il premier Hassan Diab, tra gli indagati dalla procura, si era dimesso dopo l'esplosione. Da allora tre diversi premier incaricati hanno tentato di formare un governo ma finora nessuno ci è riuscito. La formazione del nuovo esecutivo è invocata da più parti dentro e fuori il Libano per poter avviare le tanto attese riforme strutturali e per ricevere i fondi promessi da diversi paesi stranieri. 

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