Elezioni Usa, Trump: «Non mollo, ho vinto io». Via alla battaglia legale ma Ivanka vuole frenarlo

Elezioni Usa, Trump: «Non mollo, ho vinto io». Via alla battaglia legale ma Ivanka vuole frenarlo
di Flavio Pompetti
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Domenica 8 Novembre 2020, 00:44 - Ultimo aggiornamento: 14:24

È toccato alla figlia Ivanka, la sua prediletta, pronunciare davanti a lui le parole che nessun altro tra i collaboratori della Casa Bianca osava dirgli: «È finita, non ha più senso lottare!». Da almeno tre giorni nei corridoi della West Wing della residenza presidenziale, tutti gli sherpa dell’amministrazione erano impegnati nello stesso gioco di scaricabarile: cioè capire a chi sarebbe toccato il compito di portare la cattiva notizia al capo.

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Tre giorni di isolamento tra l’ufficio ovale e i trenta metri che lo separano dalla saletta stampa nella quale il presidente è sceso due volte per ripetere lo stesso concetto: «Lo spoglio è invalidato dai brogli. Sono io il vincitore, e i tribunali mi daranno ragione». La secondogenita la notte di giovedì, con l’aiuto del marito Jared Kushner ha cercato di farlo ragionare: le cause giudiziarie andranno avanti nel tempo, ma ora è il momento di sospendere le ostilità, e cercare di riappacificare un paese che ha vissuto le ore più difficili degli ultimi 50 anni. 
Il concetto è stato poi ribadito dalle urla ieri mattina a Washington della popolazione che all’annuncio della vittoria di Biden in Pennsylvania e in Nevada, si è riversata nelle strade a gridare il sollievo che è finalmente arrivato dopo quattro giorni di tensione esasperata. 

Trump ha passato la sera di venerdì a monitorare i risultati in arrivo dai seggi, mentre i suoi legali cercavano di fermare dove possibile lo scrutinio con l’accusa di irregolarità in atto ai seggi.

Qualcuno tra i giudici ha raccolto le denunce e ha emesso ordini per fermare le operazioni in Pennsylvania e in Georgia. Nessuno dei provvedimenti è però sopravvissuto agli scrutini di grado superiore, e in ognuno dei casi la lettura delle schede è regolarmente ripresa. Nel frattempo i margini di vantaggio di Biden continuavano a crescere in tutti gli Stati ancora in sospeso, mentre altri voti postali e sub judice venivano aperti e archiviati, in gran parte a favore del suo avversario. 


Su Twitter resta l’ultimo dei suoi messaggi, lanciato un’ora prima della proclamazione. Dice: «Ho vinto io, alla grande». Ma la voce del presidente, per quanto potente, scompare sotto il boato che risuona dalla strada. Trump non molla. E accusa quelli che gli stanno attorno: gli avvocati non lo hanno difeso a dovere, avrebbero dovuto essere più aggressivi nell’azione di denuncia delle irregolarità del voto. Trump vorrebbe licenziarli, l’unica modalità che conosce di fronte alle difficoltà e al dissenso, ma il tempo dei licenziamenti, almeno quelli alla Casa Bianca, è ormai finito. 

Il partito lo ha lasciato solo nelle fasi finali della campagna, quando i sondaggi lo davano ormai per spacciato. La solidarietà in realtà c’è stata, ma si è espressa nella forma del silenzio. I repubblicani hanno aspettato sugli spalti fino all’ultimo minuto, in attesa di vedere come sarebbe andata a finire. 
I seggi sui quali siedono sono stati tenuti insieme negli ultimi quattro anni da un unico collante: il supporto o meno del presidente. Senza la sua mano sulla spalla, la gran parte delle elezioni locali sono state perse dai candidati ribelli del partito conservatore. Il suo supporto è stata la marcia in più che li ha portati oltre il traguardo. La solitudine di Trump nell’ultima notte prima dell’annuncio fa da eco ad un’altra notizia che nel frattempo è uscita dalle mura della residenza presidenziale. 

Il capo di gabinetto Mark Meadows è stato contagiato dal coronavirus. Non è il solo, insieme a lui un numero imprecisato di assistenti è anche risultato positivo agli ultimi test effettuati. Non è nemmeno la prima volta; nell’ultimo mese della campagna si sono ammalati lo stesso presidente, sua moglie Melania e l’assistente più vicina a Trump: Hope Hicks e il primo tra i consulenti Stephen Miller. 


L’epidemia che si allarga tra i quartieri residenziali dell’edificio e quelli lavorativi è una triste metafora della dissoluzione del potere della passata amministrazione. Come il protagonista della celebre commedia di Shakespeare, Trump è rimasto figurativamente solo all’interno del palazzo, mentre intorno a lui l’edificio cadeva a pezzi. 
 

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