Elezioni USA, il boom del voto per posta: rischio tempi supplementari

In alcuni Stati conteggi anche giorno dopo la chiusura del 3 novembre
di Flavio Pompetti
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Venerdì 30 Ottobre 2020, 09:08 - Ultimo aggiornamento: 10:00

NEW YORK Saranno le urne o le aule di tribunale a decidere le sorti delle elezioni negli Stati Uniti? A quattro giorni dal voto, le cause legali e i pareri della Corte suprema stanno già disegnando l'ingorgo che potrebbe rendere impossibile il pronunciamento di un verdetto. Non solo la sera del 3 di novembre, ma per giorni, forse settimane a seguire. «I democratici stanno cercando di rubare le elezioni», ha gridato ieri dal palco di Tampa in Florida Donald Trump. Il giorno dopo che i media progressisti avevano denunciato l'opinione espressa da uno dei giudici della Corte suprema: «Brett Kavanaugh vuole rubare il voto a beneficio dei repubblicani».

Valanghe di schede

Al centro delle polemiche c'è sempre il voto postale, uno strumento largamente usato, specialmente negli Stati che hanno un numero esiguo di abitanti sparsi su un territorio molto vasto. Le schede possono essere affidate al servizio nazionale, o depositate nelle urne provvisorie allestite dai rispettivi comitati elettorali. Negli ultimi anni i legislatori progressisti hanno ampliato in modo esponenziale l'accesso al voto postale, perché lo ritengono uno strumento ideale per combattere un problema frequente: la sorpresa dell'ultimo minuto al seggio che invalida il diritto di un elettore per motivi procedurali, e che impedisce a molti di esprimere una scelta. L'espansione non è stata però supportata da un adeguato finanziamento e i collegi si trovano ora nella difficoltà di ricevere valanghe di schede da verificare ed approntare allo spoglio. Undici Stati hanno deciso di autorizzare l'apertura e la scannerizzazione del documento, che rimane criptato nelle mani delle segreterie distrettuali, con più di due settimane di anticipo. Alcuni altri manterranno le urne aperte per accogliere le lettere ritardatarie fino a sei, o a nove giorni dopo la data del voto. Tutta questa disciplina, insieme al numero e alla locazione delle cassette per il deposito dei voti, è materia fin d'ora di aspre dispute processuali per le quali è facile immaginare strascichi che dureranno ben oltre la nottata del prossimo martedì. Tutto dipende dal margine con il quale la vittoria sarà assegnata. Se Trump o Biden si affermeranno in un singolo stato con un distacco tale da rendere irrilevanti i ritardi di lettura delle ultime schede ed eventuali voti contestati, l'assegnazione sarà indisputata. Ma sappiamo già che la distanza tra i due, su piazze determinanti come la Florida, l'Ohio, il Michigan, e ora anche la Georgia e la Carolina del Nord, è talmente esigua da rendere preziose anche le ultime schede.

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Verdetto rinviato

Se il voto in questi stati si dovesse rivelare decisivo per capire chi ha vinto, i tribunali saranno i veri arbitri finali del voto, perché il problema è aggravato dal volume ingente di schede in arrivo via posta: 51 milioni finora, pari al 36,7% dei voti complessivi nelle elezioni del 2016.

Di questo passo è già possibile immaginare che lo spoglio ritardato dei voti postali rinvierà verdetti locali; forse anche quello principale per l'assegnazione della presidenza. Sappiamo dai sondaggi che il voto postale è preferito di gran lunga dai democratici, mentre gli elettori repubblicani scelgono di recarsi al seggio. È per questo che Trump insiste nel dire che chi sarà in testa la notte del 3 sarà il nuovo presidente. L'incubo del risveglio il giorno dopo con l'esito del voto che inizia a ribaltarsi rievoca la memoria dell'infausta elezione del 1876, quando l'inaugurazione del repubblicano Hayes, proditoriamente rubata al democratico Tilden, fu celebrata solo a maggio, con le milizie nelle strade e la guardia nazionale impegnata a sedare le rivolte in atto in tutto il Paese.

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