Elezioni Spagna, il fattore Catalogna decisivo per governare

Elezioni Spagna, il fattore Catalogna decisivo per governare
di Elena Marisol Brandolini
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Domenica 10 Novembre 2019, 11:14

Vigilia di elezioni in Spagna, giornata di riflessione prima del voto: Tsunami Democràtic, la piattaforma digitale del movimento indipendentista che ormai conta 400.000 followers su Telegram, ha convocato manifestazioni pacifiche in oltre 300 municipi della Catalogna.
«Aiutiamo lo Stato a sapere che Tsunami siamo tutti», scriveva la piattaforma sul suo account, in riferimento alle indagini avviate dall'Audiencia Nacional per terrorismo. E nella stessa occasione ha invitato tutti ad allestire il palco di Barcellona sulla Gran Via, davanti allo storico edificio della Universitat de Barcelona e all'omonima piazza, dove, fino al giorno prima, c'era l'acampada dei giovani della Generació 140, come il giorno in cui è stata resa nota la sentenza per la leadership indipendentista.
 

 

La sentenza. Occupazione poi conclusasi nella notte tra venerdì e sabato, quando l'assemblea degli accampati si è divisa tra chi voleva andarsene e chi sceglieva di fermarsi in tenda sotto altro nome. Così, per tutto il pomeriggio di ieri e fino a sera, la musica e la poesia interpretavano una mobilitazione che si è fatta permanente in Catalogna, da quando è uscita la sentenza.
E vengono in mente anche altre giornate di riflessione in Spagna, con gente in piazza a protestare: la cacerolada sotto la sede del PP che aveva attribuito la strage jihadista della stazione Atocha di Madrid al terrorismo etarra, alla vigilia delle elezioni del 2004 che portarono José Luis Rodríguez Zapatero alla Moncloa.
L'occupazione della Puerta del Sol a Madrid del movimento degli Indignados che andò avanti anche durante le elezioni municipali del 2011 che segnarono l'inizio del declino del Psoe e l'ascesa del PP di Mariano Rajoy.

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Il blitz. La campagna elettorale più breve della storia democratica spagnola, durata appena dieci giorni, ha avuto come argomento costante, quando non esclusivo, la Catalogna, il suo conflitto con lo Stato spagnolo, reso più acuto dalla condanna ai leader del movimento indipendentista che tutti immaginavano e che si sapeva sarebbe arrivata con la sentenza della prima metà di ottobre.
Sarebbe stata sconsigliabile anche solo per questo la ripetizione di nuovi comizi in autunno, perché era evidente che l'indipendentismo e più in generale il movimento democratico catalano si sarebbero mobilitati contro la sentenza. E che tutto questo avrebbe spostato a destra il quadro politico, dando ossigeno all'estrema destra franchista di Vox.

Il referendum. Il dibattito radiotelevisivo d'inizio settimana tra i cinque leader dei cinque partiti spagnoli ne è una prova. In quella occasione, Sánchez proponeva di reinserire nel codice penale la celebrazione di un referendum illegale, che Zapatero aveva espunto nel 2004, e il Psoe aveva rifiutato di tornare a introdurre appena qualche mese fa, in un dibattito parlamentare. Mentre i partiti di destra si dibattevano tra un nuovo commissariamento della Generaitat e l'arresto del suo presidente, solo Unidas Podemos, con Pablo Iglesias, scommetteva sul dialogo come unica possibilità di soluzione.

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I ragazzi. Spain, sit and talk, gridavano i manifestanti un paio di settimane fa a Barcellona. Gli stessi ragazzi dell'acampada di Plaça Universitat, così simili per certi versi al movimento degli Indignati, differentemente da questi però, pretendevano una risposta dalla politica.
I sondaggi dicono che i partiti indipendentisti in Catalogna miglioreranno il loro risultato elettorale, Esquerra Republicana era già primo partito ad aprile. Impossibile governare in Spagna contro catalani e baschi; impossibile per i socialisti vincere le elezioni senza la Catalogna. Le previsioni dicono che Sánchez avrà ancora bisogno degli indipendentisti catalani per governare, oltre a Podemos. A meno che non faccia un patto d'investitura con il PP.

Dalla scelta di governo in un senso o nell'altro dipenderà il destino della questione catalana, che potrebbe avviarsi verso una soluzione, o continuare a spaccare il Paese.
 

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