La mistica del dittatore: il popolo di berretti rossi

di Loris Zanatta
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Venerdì 25 Gennaio 2019, 00:00
Il 23 gennaio non è un giorno qualsiasi per i venezuelani: nel 1958 un’insurrezione popolare rovesciò la dittatura del generale Pérez Jiménez e gettò le basi della democrazia.
Imperfetta finché si vuole, ma un’oasi quando il resto dell’America Latina precipitò in dittature e guerre civili. Ora ci sarà un motivo in più per celebrare la data: le immagini delle immense folle che hanno colmato le piazze contro Maduro dicono più di tante parole. È stata una sorpresa: sembrava aver vinto la rassegnazione; non rimanere che l’esilio o l’umiliazione. C’era invece un fiume carsico che attendeva l’opportunità di tornare in superficie: l’emergere di un nuovo leader, un contesto internazionale favorevole, il desolante spettacolo dell’insediamento di Maduro dinanzi a quattro diplomatici in croce. Ad alimentarlo ci pensano ogni giorno il tiranno e la sua cricca: dittature ne abbiamo viste tante, ma più inette, corrotte e ridicole di questa, poche. Tale è lo scarto tra la loro pomposa magniloquenza e il dramma dei venezuelani che verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. 

Ora lo scenario è cambiato. L’assemblea legislativa che Maduro aveva sbattuto fuori dalla porta è rientrata dalla finestra. Ne riconoscono la legittimità molti più Paesi di quanti riconoscano quella del regime. Il Venezuela è diventato così un crocevia globale. Il mondo occidentale, non solo Trump ma gran parte dell’America Latina e dell’Europa, gli gira il pollice; Cina, Russia, Turchia gli fanno la respirazione bocca a bocca. Non è bello forzare un mutamento di regime; qualcuno grida al golpe! Il più strano della storia: condotto da una piazza disarmata che reclama democrazia contro le forze armate sulle cui baionette si sostiene una dittatura; un tempo si sarebbe chiamata rivoluzione; o liberazione. Il problema non si porrebbe se il regime non avesse chiuso le urne quando hanno smesso di dargli la vittoria: si vota solo se vinco io, è la sua filosofia. 

Per non dire delle fame, l’inflazione, la tortura. In epoca di multilateralismo, la sovranità ha i suoi limiti; perfino il codice civile è entrato da tempo nelle case a tutelare il più debole dalle angherie del più forte. Cinesi e compagnia soccorreranno il regime? O capiranno di avere puntato sul cavallo sbagliato per tutelare i loro interessi? Farebbero bene ad agevolare la transizione democratica. Alla lunga, gli converrebbe.

Inetto a governare, il chavismo non lo è a stringere il potere. Non stupisce: è figlio prediletto del castrismo, nipote naturale del peronismo, cugino non troppo remoto di vari populismi dell’Europa latina. Ciò cui aspira è una specie di riduzione gesuitica: una comunità paternalista e moralizzante, retta da uno Stato etico che combatte il demonio del denaro e distribuisce pani e pesci, estirpa l’egoismo e semina fratellanza. Come non amare un ordine siffatto? Infatti l’hanno amato in tanti. Ma quante volte è già successo che in nome di così elevati valori la comunità schiacciasse l’individuo, un nuovo ceto sacerdotale s’ergesse a casta privilegiata, pani e pesci svanissero poiché nessuno aveva incentivi a produrli? Quante volte il sogno del Regno dei cieli s’è tramutato in inferno in terra? Quante volte la moralità s’è tramutata in ipocrisia, l’eguaglianza in miseria, l’onestà in corruzione, la fede in dogma, la democrazia in dittatura? Ebbene, è capitato di nuovo. Ci sarà un motivo.

Ora Maduro mobiliterà i circoli bolivariani e colmerà una piazza di berretti rossi. Il “popolo” è con me, dirà. Poi griderà al lupo: «Ci vogliono invadere, mi vogliono uccidere, e che l’impero..., e che il capitale...». La solita vecchia solfa. Il problema, con il chavismo e con la sua famiglia, è che non sono fenomeni politici, ma mistico-religiosi; e in termini religiosi, non politici, ragionano: il loro popolo non è un popolo tra i tanti, pensano, ma il popolo di Dio; «gli ultimi», dicono arrogandosi la superiorità morale. Le masse che sono scese in strada non sono “popolo”, ma oligarchia; la più grande e popolare oligarchia mai vista. 

La democrazia pluralista, la separazione dei poteri e le libertà individuali gli sono estranei: il loro popolo è il bene, gli altri il male. Per cui è facile prevedere che scorrerà altro sangue. E ora? Il pallino l’hanno in mano i militari. Le forze armate venezuelane non sono un’istituzione neutrale, sono apparato del regime; non difendono le frontiere, ma il chavismo. Dovesse cadere, dovrebbero rendere conto di una sfilza di imputazioni. Ma sotto pressione potrebbero spaccarsi: allora sì, lo spettro delle guerra civile prenderebbe forma. Qualcuno vuole mediare? Ben venga: purché non sia per dare altro ossigeno al regime, ma per avviare la transizione democratica.
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