Arabi, milizie cristiane e ceceni: ecco chi combatte al fianco dei curdi

Arabi, milizie cristiane e ceceni: ecco chi combatte al fianco dei curdi
di Cristiano Tinazzi
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Lunedì 14 Ottobre 2019, 08:33

L'operazione militare turca Fonte di pace nel nordest della Siria, che è entrata nel suo sesto giorno di combattimenti, si sta dimostrando un'operazione tutt'altro che facile, vista la resistenza portata dalle milizie delle Forze democratiche siriane (Sdf), all'interno delle quali il gruppo militare più importante è l'Ypg (Unità di protezione del popolo), formato in larga parte da sostenitori del Pyd, il Partito dell'unione democratica, vicino all'ideologia di Abdullah Ocalan, leader del Pkk.

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LE MILIZIE
Nello specifico, all'interno delle Sdf si trovano elementi in maggioranza curdi ma anche arabi, milizie cristiane ed elementi armeni, turcomanni e ceceni. Oltre a queste milizie, le Ypg hanno una Brigata Internazionale di Liberazione, che ha visto al suo interno numerosi volontari europei. In totale le milizie ricollegabili all'Ypg si stima siano dai 30 ai 50 mila uomini, mentre le Sdf sono intorno ai centomila combattenti. Le Sdf dal 2015 e in special modo le milizie curde, durante la guerra civile siriana, hanno tenuto nel corso degli anni nei confronti di regime e ribelli un atteggiamento ambiguo, sfociato nell'alleanza tattica tra le truppe di Assad e quelle curde durante l'assedio e la caduta di Aleppo e la perdita di Azaz nel dicembre 2016. Le Sdf hanno avuto anche un ruolo determinante, insieme al sostegno dell'operazione militare a guida Usa Inherent Resolve, nello sconfiggere l'Isis in Siria. La loro avanzata ha permesso di riconquistare aree strategiche sotto controllo del califfato fino alla sua disfatta militare.

IL BRACCIO MILITARE
Braccio militare di una volontà politica di formare uno stato democratico multietnico e multi-religioso, nel corso degli anni però le Sdf e in special modo l'Ypg, sono stati accusati di svariati crimini di guerra e violazioni dei diritti umani, quali torture, arresti arbitrari, arruolamento di minori, pulizia etnica e spostamenti forzati di popolazioni arabe. Le Sdf hanno avuto come principali nemici l'Isis e le forze ribelli, anche se saltuariamente si sono scontrate con le truppe di Assad e milizie sciite legate a Damasco.

UNA GALASSIA DI GRUPPI
Dall'altro lato, a combattere le Forze democratiche siriane e in special modo le milizie curde Ypg, abbiamo forze regolari turche e gruppi armati di opposizione al regime di Assad e alle Sdf. In Siria infatti, troviamo una galassia di gruppi raccolti sotto la sigla Tfsa (Turkish-backed free Syrian army) conosciuti ufficialmente come al-Jays al-Watani as-Suri (Esercito nazionale Siriano). Nate ufficialmente ad Azaz durante l'Operazione Scudo d'Eufrate, hanno partecipato all'operazione Ramo d'ulivo e nel 2019 le Tfsa si sono estese anche nel governatorato di Idlib. Come la Turchia perseguono il fine di creare una safe zone nel nordest del paese. I loro nemici naturali sono stati lo Stato islamico e le Sdf. La catena di comando delle Tfsa o Esercito nazionale Siriano non avrebbe contatti con il Free Syrian Army, elemento principale di opposizione al regime di Assad ma sarebbe direttamente connesso all'Esercito turco.

OPERAZIONE ANNUNCIATA
«Nulla di nuovo sotto il sole, Erdogan questa operazione l'aveva già annunciata», spiega al Messaggero Valeria Giannotta, esperta di Turchia e relazioni internazionali. «La linea di confine - sottolinea - è lunga novecentoundici chilometri, nel 2016 con l'operazione Scudo dell'Eufrate i turchi hanno esteso il loro controllo sulla zona di Jarablus, nel 2018 con l'operazione Ramoscello d'ulivo sono entrati mettendo in sicurezza il cantone di Afrin, adesso con l'operazione Fonte di pace tocca agli altri territori. Di fatto danno continuità alla strategia iniziata; l'elemento di novità è la creazione di una safe zone, quindi non è più soltanto un'azione militare stretta e limitata in chiave preventiva, ma ha invece un obbiettivo di medio e lungo periodo che è sia quello di creare una zona di sicurezza, che dovrebbe sostituire quello che i turchi chiamano il corridoio del terrore e in un secondo momento essere utile per il resettlement dei siriani».

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