Coronavirus, Aylward (capo missione Oms in Cina): «Lockdown in Italia decisivo, non c'erano alternative»

Bruce Aylward
di Elena Marisol Brandolini
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Mercoledì 15 Aprile 2020, 09:10 - Ultimo aggiornamento: 09:11

Il 58enne Bruce Aylward è il Senior Advisor del Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Salute. E’ stato lui a guidare la missione dell'OMS in Cina e successivamente in Spagna.

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Che differenze ha osservato tra la Cina e la Spagna?
«Quando andai in Cina e in Spagna l’epidemia si trovava in fasi molto differenti nei due paesi. In Cina era già trascorso il periodo peggiore e il sistema sanitario reggeva bene, anche per l’esperienza maturata sulle epidemie. In Spagna l’epidemia obbligava a interventi di emergenza per garantire la terapia intensiva. In primo luogo, quindi, c’è uno sfasamento temporale: in Spagna l’epidemia esplodeva quando in Cina era nel suo punto di crisi. Ma la risposta dei sistemi sanitari è stata molto simile in entrambe. Una differenza importante, più in generale tra l’Europa e la Cina, è stata nell’uso dei test. In Europa, molti paesi con l’arrivo del Covid19 non hanno fatto i test, ma hanno raccomandato alle popolazioni di rimanere a casa, mantenere il distanziamento sociale, inviando agli ospedali i casi più gravi. In Cina è stato differente, i test sono stati fatti su tutti i casi sospetti che sono stati isolati negli ospedali, negli hotel per due settimane, mentre il resto della gente rimaneva chiuso in casa. Il lockdown totale si è applicato a Wuhan solo in un secondo momento, quando il virus ha preso a diffondersi troppo rapidamente».

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Quando si è capito che l’epidemia non si sarebbe fermata in Cina?
«Già in gennaio cominciammo a preoccuparci che potesse diventare una pandemia. Era praticamente impossibile limitare la propagazione dell’epidemia alla Cina, per i molti contatti commerciali e di lavoro con altri paesi».

Perché l’Europa e gli Usa sono stati più colpiti?
«Probabilmente perché sono aree molto collegate con la Cina. L’età della popolazione non importa perché conta per i casi molto gravi non per la diffusione del contagio. Un’altra ragione potrebbe essere legata alla stagione invernale: in Cina l’epidemia scoppiò a gennaio e sono stati colpiti i paesi del Nord, crescendo rapidamente nel Nord America e in Europa».

Il lockdown è la strategia principale contro l’epidemia?
«In Cina la strategia principale non è stata il lockdown, ma è stata quella di fare i test su tutti i casi sospetti per poi isolarli negli hotel in quarantena. In Europa si è fatto l’opposto: si è usato il lockdown come strategia principale perché il contagio era cresciuto troppo rapidamente e non era possibile isolare i casi sospetti, i casi lievi sono rimasti a casa e quelli gravi sono stati ricoverati in ospedale».
 


L'Oms si è congratulata con Italia e Spagna per la gestione della crisi.
«Nei due paesi c’è stata un’esplosione dell’epidemia superiore alla Cina, hanno applicato il lockdown e hanno ampliato la capacità del sistema sanitario con nuovi ospedali. Le popolazioni hanno capito e si sono chiuse in casa e i governi hanno risposto bene prendendo delle decisioni difficili. Perché quando si ha un’esplosione di questo genere il lockdown è indispensabile».

Come si dovrebbe uscire dal lockdown?
«Con molta attenzione. Una volta che i casi regrediscano rimane la pressione sugli ospedali, quindi bisogna rafforzare il sistema sanitario. In futuro dobbiamo isolare i nuovi casi e provvedere i sistemi sanitari dei test per quelli sospetti. Bisognerà evitare eventi troppo affollati, mantenere le norme di igiene personale e il distanziamento sul lavoro, utilizzare le mascherine, ricorrere al telelavoro, tornare a scuola e riaprire la produzione gradualmente e governare le frontiere. Bisogna capire che non è un ritorno alla situazione precedente ma l’andata verso un tempo nuovo».

Dobbiamo prepararci a nuove epidemie?
«Entriamo in un nuovo periodo della storia dell’umanità in cui abbiamo bisogno di più organizzazione. Perché con il cambiamento climatico e la degradazione dell’ambiente avremo molte difficoltà. Ciò determinerà nuove epidemie dalla crescita molto rapida, perché  viviamo in un mondo  connesso. Tutti questi fattori aumentano il rischio di emergenze sanitarie».

Quale lezione possiamo trarre?
«La prima lezione è che dobbiamo essere meglio preparati per affrontare le nuove epidemie. Questa migliore preparazione avrà bisogno del rafforzamento del sistema assitenziale e di quello della salute pubblica».
 

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