Cop26, l'accordo finale: che cosa è stato deciso (e tutti gli obiettivi falliti)

Cop26, l'accordo finale: che cosa è stato deciso (e tutti gli obiettivi falliti)
6 Minuti di Lettura
Domenica 14 Novembre 2021, 17:12 - Ultimo aggiornamento: 22:51

Alla fine, alla Cop26 di Glasgow è stato raggiunto l’accordo. Poteva andare molto meglio, ma in tema di carbone e sussidi alle fonti fossili India e Cina hanno fatto muro. Così, nel documento finale, si parla di «phase down» del carbone invece di «phase out», il piano di «eliminazione graduale» viene dunque sostituito con «riduzione graduale». Il presidente Alok Sharma non ha nascosto lacrime di frustrazione e si è scusato per la correzione dell’ultimo minuto: «Capisco la profonda delusione, però è fondamentale proteggere questo pacchetto che definisce la rotta affinché il mondo mantenga le promesse fatte a Parigi. Penso che possiamo dire in modo credibile che l’obiettivo di ridurre il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali è vivo. Ma il polso è debole».

 

GAS SERRA

La questione più importante discussa dai quasi 200 Paesi presenti alla Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici è quella dei Nationally determined contributions (Ndc) per la neutralità carbonica, cioè le promesse dei singoli Stati per arrivare alla condizione in cui si emettono tanti gas serra quanti se ne rimuovono dall’atmosfera.

Al ventesimo punto del documento, il testo conclusivo recita: «La Conferenza invita le parti ad accelerare lo sviluppo, lo spiegamento e la diffusione di tecnologie e l’adozione di politiche per la transizione verso sistemi energetici a basse emissioni, anche aumentando rapidamente la produzione di energia pulita e accelerando l’abbandono graduale dell’energia a carbone non abbattute e dei sussidi inefficienti per i combustibili fossili».

In sostanza, come spiega Nuova Ecologia, il phase-out (l’abbandono graduale) dei sussidi alle fossili è previsto solo per i sussidi inefficienti e il phase-out dal carbone solo per le centrali «unabated» ossia senza Ccs (cattura e sequestro del carbonio, uno stoccaggio sotterraneo in giacimenti di idrocarburi esauriti o in formazioni rocciose). Sarà possibile quindi continuare a bruciare carbone, a patto di ridurne il rilascio di gas serra nell’atmosfera. Così come sarà possibile continuare a dare sussidi ai combustibili fossili eliminando solo quelli inefficienti. Una soluzione a metà, quindi.

IMPEGNO NON MANTENUTO

Funzionerà? Secondo un’analisi diffusa giovedì dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), se saranno rispettati i più recenti impegni sulla riduzione delle emissioni stipulati a Glasgow, si riuscirà a limitare l’aumento delle temperature globali a 1,8 gradi. Non è una previsione del tutto negativa, perché l’Accordo di Parigi aveva come obiettivo principale mantenere l’aumento entro i 2 gradi, pur compiendo sforzi per mantenerlo sotto un grado e mezzo. «Qui è molto importante vedere il contesto generale. Il problema non è l’India; il problema sono gli Stati Uniti e i Paesi ricchi che si rifiutano di fissare l’uscita dai combustibili fossili nel contesto di un’equità globale», commenta su Twitter Brandon Wu, direttore delle politiche e delle campagne di Action Aid Usa.

Nel 2009 i Paesi ricchi avevano promesso 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare le nazioni a basso reddito entro il 2020. Tuttavia, questi non hanno ancora mantenuto l’impegno e recenti rapporti indicano che tale obiettivo potrebbe slittare al 2023. «C’è qualche progresso. Tuttavia, è ancora al di sotto delle aspettative e ci sono ancora molti rimpianti. Le nazioni sviluppate non sono riuscite a rispondere in maniera adeguata alle preoccupazioni fondamentali dei Paesi in via di sviluppo su questioni come l’adattamento, i finanziamenti e il supporto tecnologico», ha detto il capo della delegazione cinese Zhao Yingmin.

 

ACCORDI SETTORIALI

Nelle due settimane di negoziati a Glasgow sono stati raggiunti anche diversi accordi settoriali, cioè riguardanti aspetti specifici della lotta al riscaldamento climatico, e siglati non all’unanimità ma tra vari gruppi. I leader hanno raggiunto un’importante intesa contro la deforestazione, in cui promettono di fermare questo fenomeno entro il 2030, e stanziano, tra fondi pubblici e privati, quasi 20 miliardi di dollari per promuovere politiche contro la deforestazione. Un’altra iniziativa, firmata da 108 Paesi tra cui gli Usa e Ue, promette di ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030: questo gas ha una capacità di riscaldare l’atmosfera circa 80 volte più velocemente dell’anidride carbonica. I principali produttori di metano come la Cina, India e Russia, sono rimasti tuttavia fuori dall’accordo, anche se la Cina ha detto in seguito che sta valutando di entrare).

Una cinquantina di Paesi ha inoltre stretto un’intesa per la dismissione delle centrali a carbone entro il 2030 (per le nazioni più ricche) o il 2040 (per le più povere), e un’interruzione immediata alla costruzione di nuove centrali. Un altro accordo tra 22 Paesi prevede che tra il 2035 e il 2040 tutti i nuovi autoveicoli venduti saranno elettrici. Ma non hanno aderito i principali produttori di auto come Germania, Giappone, Stati Uniti, Cina. La conferenza stabilisce infine che ogni Paese dovrà fornire alle Nazioni unite i suoi piani sul clima per cicli quinquennali. Però manca un impegno pressante: il patto di Glasgow si limita a «incoraggiare» a presentare nel 2025 il pacchetto di impegni per ridurre le emissioni e centrare gli obiettivi degli accordi di Parigi del 2035, nel 2030 quelli del 2040. Una delusione per chi si aspettava una tabella di marcia più stringente.

Video

MARCIA INDIETRO

In generale, secondo un’analisi di Climate action tracker, questi accordi settoriali avranno una portata «limitata» per i loro obiettivi modesti e perché spesso disertati dalle nazioni principali. Non solo, alcuni firmatari si sono già rimangiati la parola. La ministra dell’Ambiente dell’Indonesia, dove vi è la terza foresta pluviale più grande del mondo, ha aderito all’accordo sulla deforestazione, salvo poi annunciare che non lo rispetterà perché «inappropriato e ingiusto». «Il grande progetto di sviluppo del presidente Jokowi non si può fermare in nome delle emissioni o in nome della deforestazione», ha annunciato.

Alcuni osservatori però non si lasciano abbattere e sostengono che queste iniziative parallele possono comunque approdare a risultati e creare alleanze in vista delle prossime conferenze. Come la Beyond oil and gas alliance, un forum internazionale guidato da Danimarca e Costa Rica per mettere fine alle fonti fossili al quale partecipano undici componenti tra cui l’Italia (con il grado di impegno più basso, ovvero «amico»). E come il fondo da 24 miliardi di dollari per lo stop al finanziamento di ricerca ed estrazione di fonti fossili all’estero, siglato anche dal nostro Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA