Brexit, rinvio bocciato. May si inchina ai falchi: la Ue riapra il negoziato

Brexit, rinvio bocciato. May si inchina ai falchi: la Ue riapra il negoziato
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Martedì 29 Gennaio 2019, 21:11 - Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 17:26
Sospiro di sollievo per Theresa May: la Camera dei Comuni ha infatti bocciato stasera l'emendamento trasversale vincolante al suo piano B sulla Brexit - prima firmataria la deputata laburista Yvette Cooper - concepito per imporre al governo la richiesta di un'estensione dell'articolo 50, e di un rinvio limitato della Brexit rispetto alla scadenza del 29 marzo, in caso di stallo prolungato in Parlamento fino al 26 febbraio. La proposta, che mirava ad allontanare il rischio d'un no deal, ha avuto 298 sì e 321 no.

Il voto di stasera ai Comuni le dà invece il mandato per «tornare a Bruxelles» e cercare di ottenere dall'Ue nel giro di due settimane, entro il 13 febbraio, ciò che non le è riuscito di portare a casa in due anni. Ossia un accordo non dissimile da quello chiuso a novembre con l'Ue - ma poi affondato a Westminster in sede di ratifica - purché alleggerito dei vincoli del backstop sul confine aperto in Irlanda per renderlo digeribile a una maggioranza risicata di deputati con l'auspicato ritorno all'ovile dei falchi Tory brexiteers e dagli alleati unionisti nordirlandesi del Dup.

Un obiettivo - che si associa peraltro a un primo impegno esplicito contro lo spettro di un no deal e a un mezzo disgelo almeno su questo punto con il leader laburista Jeremy Corbyn - rispetto a quale l'Europa chiude in ogni modo seccamente la porta: non si rinegozia nulla, taglia corto Donald Tusk. Come puntello «per rendere chiaro all'Ue ciò che il Parlamento britannico vuole», la premier si appoggia a un emendamento alla mozione con cui oggi ha avviato la ripresa del dibattito ai Comuni. Emendamento promosso dall'euroscettico sir Graham Brady in modo da impegnare il governo a tornare alla carica con l'Ue per provare a strappare «soluzioni alternative» al backstop; fatto successivamente proprio dall'esecutivo; e approvato infine di misura con 317 voti contro 301.

Di fatto si tratta di un precario arrocco. Del tentativo di uscire dallo stallo rimettendo insieme i cocci della coalizione originaria di governo aggrappandosi al mantra del rispetto della volontà popolare pro Brexit espressa nel referendum del 2016. Ma si tratta di una mossa che rischia di non fare i conti con l'oste. Vale a dire con l'atteggiamento dell'Ue, dove per ora ogni rinegoziazione sostanziale appare fuori questione. In attesa della ripresa dei contatti diretti con May, che Downing Street ha annunciato da subito, il presidente francese Emmanuel Macron è il primo a rispondere picche. E dopo il voto ai Comuni tocca al presidente del Consiglio europeo chiarire: «L'accordo raggiunto è e resta il migliore ed unico modo per assicurare una uscita ordinata della Gran Bretagna dall'Ue. Il backstop è parte di quell'accordo, che non è aperto a nuovi negoziati».

Il percorso indicato da lady Theresa per districarsi dallo stallo in casa sua non esclude d'altronde l'ipotesi di un buco
nell'acqua. Tanto da prevedere fin d'ora che ella torni in aula il 13 febbraio in tutti i casi. Sia con un nuovo accordo saltato fuori per miracolo; sia con una dichiarazione di fallimento accompagnata da ulteriori proposte sul da farsi: entrambi «emendabili» ed entrambi da sottomettere a un nuovo voto. Un voto che a quel punto sarà cruciale, a differenza di quelli indicativi di oggi. Ma la cui attesa non scioglie certo il velo dell'incertezza sulle alternative eventuali. Nei loro emendamenti presentati stasera, le opposizioni e la trincea dei dissidenti Tory pro Remain hanno provato invano a imporre al governo l'obbligo di chiedere all'Ue un rinvio della Brexit oltre la data fissata del 29 marzo, in caso d'impasse prolungata fino al 26 febbraio. Ma sono riusciti a far passare una mozione non vincolante (con 318 sì contro 310 no) contraria a qualsiasi ipotesi di no deal: uno scenario che Corbyn e molti altri (imprese, sindacati e capo degli 007 Usa inclusi) paventano come «catastrofico» per l'economia britannica.

Uno scenario di fronte al quale, dopo i tatticismi delle ultime settimane, anche la premier ammette stasera a Westminster d'essere allarmata. «Non voglio un no deal, ma non basta opporsi per evitarlo, serve dire sì a un deal», avverte, rilanciando all'improvviso - malgrado l'ennesimo pomeriggio di scontri e di toni aspri - l'offerta di un confronto faccia a faccia al leader dell'opposizione. Un'offerta che stavolta Corbyn, stravolto quasi come lei, accetta. La sua precondizione di un impegno esplicito del primo ministro a dichiararsi contraria a un divorzio senz'accordo
dall'Ue può considerarsi soddisfatta, dichiara. Tendendo una mano che potrebbe rivelarsi vitale, laddove l'idea di
rinegoziare il backstop con Bruxelles entro due settimane dovesse rivelarsi, come sembra, un'illusione. 

 
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