​Brexit, il dossier che preoccupa gli italiani: i cittadini Ue possono perdere diritti

Brexit, il dossier che preoccupa gli italiani: i cittadini Ue possono perdere diritti
di Cristina Marconi
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Giovedì 28 Marzo 2019, 07:18
Nulla è cambiato, all'apparenza, ma nella vastissima comunità italiana del Regno Unito questa Brexit così confusa, con il rischio perenne di finire con un no deal, sta mietendo vittime già da un po'. E il fascino di Londra, se possibile, si va un po' appannando. Gli arrivi nel Paese diminuiscono, soprattutto se paragonati alle cifre vertiginose di qualche anno fa, quando ogni mese due o tremila italiani si trasferivano con armi e bagagli, mentre l'osservazione empirica parla di partenze in aumento, di persone che stanno scegliendo di spostare altrove progetti ed energie vista la situazione di stallo in cui versano gli investimenti.

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Chi lavora nella City, se non è stato già trasferito a Milano o in altri capitali finanziarie, deve vedersela con piani A e piani B nel caso, mai del tutto escluso del no deal, chi ruota intorno all'accademia e alla ricerca ha le stesse incertezze e chi ha un proprio business vive con apprensione l'evolversi di un dibattito in cui le esigenze delle imprese sono state sempre trascurate in maniera sorprendente. Ad ogni modo c'è una grande corsa ai documenti, alla regolarizzazione, come dimostra la pressione enorme a cui è sottoposto il consolato italiano, che però si è dotato di nuovi strumenti per far fronte alla situazione: è stato assunto nuovo personale, 15 persone per adeguare la struttura al fatto che, con 350mila iscritti all'Aire, Londra ha le esigenze di una cittadina italiana. Il governo italiano, con il suo decreto legge sulla Brexit, ha disposto alcune misure urgenti per la tutela dei suoi cittadini, autorizzando 3,5 milioni di euro di spesa su due anni per adeguare gli uffici consolari alle esigenze e altri fondi, tra cui 1,5 milioni per migliorare la tempestività dei servizi, tenendo conto anche di chi, avendo la nazionalità britannica, sta riscoprendo le proprie radici italiane per tenere un piede nell'Unione europea dopo la Brexit. Anche se in teoria i diritti dei 3 milioni e mezzo di cittadini europei sono scolpiti nella pietra già dal dicembre del 2017, anche in caso di no deal, con la procedura per il settled status snellita al punto da essere fattibile in un paio di clic, un recente rapporto della commissione per i diritti umani del Parlamento ha lanciato un allerta. E ha messo in guardia sulla possibilità che per molti residenti, gente che paga le tasse da anni e che contribuisce attivamente all'economia del Paese ma magari non ha dimestichezza con la tecnologia, ci siano difficoltà ad accedere ai sussidi e ad altri diritti, lasciando le persone in un «limbo sui diritti» dovuto al fatto che spetta al ministro dell'Interno approvare la legislazione secondaria in grado di garantire ai cittadini Ue gli stessi diritti che hanno adesso.



Il governo ha promesso che chiunque si registri prima della fine del periodo di transizione avrà diritto di rimanere dopo cinque anni. Questioni di lana caprina, forse, ma che per molte persone rischiano di fare la differenza, anche perché il precedente degli immigrati caraibici della generazione Windrush, alcuni dei quali sono stati costretti al rimpatrio in mancanza di documenti che stabilissero in maniera chiara il loro diritto a restare nel Paese, risuona sinistro.
 
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