La Brexit è realtà: turismo, lavoro (trovarlo sarà più difficile) e studio. Ecco cosa cambia per gli italiani

La Brexit è realtà: turismo, lavoro (trovarlo sarà più difficile) e studio. Ecco cosa cambia per gli italiani
di Cristina Marconi
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Domenica 27 Dicembre 2020, 09:28 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 06:39

L’accordo è fatto, la sfida inizia adesso. Chiusa all’undicesima ora della vigilia di Natale la partita negoziale sulle relazioni post Brexit tra Gran Bretagna e Ue - e in attesa degli scontati processi di ratifica dei Parlamenti, che Westminster avvierà il 30 dicembre - la nuova era s’inaugura per tutti allo scoccare del primo gennaio. Con molte cose destinate a cambiare per entrambe le sponde della Manica dopo mezzo secolo di matrimonio fra isola e continente: inclusi migliaia di italiani che guardano o hanno guardato al Regno come meta turistica, lavorativa, di studio e d’avventura. La svolta più immediata e largamente preannunciata riguarderà, in senso più severo e restrittivo, le regole sugli spostamenti. Quindi, dal nuovo anno, la libertà di movimento come intesa sino ad oggi cessa di esistere. Sarà necessario il passaporto (senza visto) per viaggiare nel Regno. Ma sono molte le strette che riguardano anche studio e lavoro.

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Lo studio

Con il Regno Unito fuori dal programma Erasmus, gli atenei britannici non potranno più essere una destinazione per il popolare programma di scambio.

Fino ad ora i 150mila studenti europei nel paese – ma nell’anno del Covid il numero è già calato - hanno sempre pagato come i britannici, ossia 10mila euro circa in Inghilterra, e chiunque arrivi prima del 31 dicembre continuerà a farlo, a condizione che si sia registrato per il “settled status” o il “pre-settled status”, ossia il permesso di residenza permanente (c’è tempo fino a giugno per i ritardatari). Chi arriverà nel 2021 dovrà invece avere un visto da studenti da 380 euro se vuole studiare nel paese più di sei mesi e tra i 10mila e i 13mila euro nel conto per dimostrare di avere fondi sufficienti per potersi mantenere. Dovrà inoltre pagare anche 500 euro all’anno per usare il servizio sanitario NHS. Chi inizia dopo agosto 2021 si vedrà applicare le stesse tariffe degli altri studenti internazionali, ossia tra i 13mila e i 33mila euro all’anno, senza contare il costo del vitto e dell’alloggio. Un corso di laurea dura in media tre anni. Gli italiani non avranno più accesso ai prestiti del governo britannico per pagare le tasse universitarie e gli studi in generale.

Il turismo

Con la fine della libera circolazione delle persone, i viaggiatori che vogliono restare nel Regno Unito più di 90 giorni avranno bisogno di un visto, mentre per i semplici turisti non sarà necessario, anche se saranno costretti ad utilizzare il passaporto, che dovrà avere una validità residua di almeno sei mesi. La carta d’identità, infatti, non varrà più come documento per l’espatrio a partire dall’ottobre 2021 per ragioni di sicurezza – sono troppo facili da falsificare – ma la perdita dell’accesso al database di Schengen SIS II sulle persone scomparse o quelle coinvolte in attività terroristiche e i furti di auto e di armi renderà il lavoro delle forze dell’ordine britanniche decisamente più difficile. Per «i viaggi di lavoro e i trasferimenti temporanei di personale altamente specializzato» sono stati fatti degli accordi reciproci, ma gli scambi saranno ovviamente meno fluidi che in passato. Potrebbero tornare le tariffe di roaming telefonico, anche se i principali operatori britannici hanno detto di non volerli, e per viaggiare con gli animali nel Regno Unito ci sarà bisogno di un certificato britannico di salute o di un passaporto europeo per animali.

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Il lavoro

Dalle 23 del 31 dicembre 2020 i cittadini europei non avranno più il diritto di lavorare, studiare, creare un’impresa o vivere nel Regno Unito, a meno che non abbiano già maturato il diritto a rimanere con il «settled status». Chi vuole trasferirsi avrà bisogno di un permesso di lavoro e seguirà la stessa procedura dei cittadini del resto del mondo: un sistema a punti «flessibile», con un «percorso privilegiato» per chi lavora nella sanità, pensato per attrarre lavoratori qualificati e dissuadere gli altri. Con la possibilità, qualora un determinato settore dell’economia lo richiedesse, di allentare le maglie per far arrivare anche personale non qualificato. Sarà favorito chi parla bene l’inglese, chi ha un’offerta da un datore di lavoro riconosciuto, chi guadagna almeno 25.600 sterline, ossia 28.350 euro all’anno e chi lavora in settori chiave come l’ingegneria, mentre le porte saranno sbarrate a chi ha più di un precedente penale – anche solo per scippo, furto o taccheggio - e a chiunque abbia avuto condanne superiori a un anno o sia stato classificato come socialmente pericoloso. Non ci sarà più riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e bisognerà fare domanda per vedersele riconosciute, anche se nell’accordo c’è una cornice per agevolare la procedura.

La finanza

Tra Regno Unito ed Europa resta aperta la partita dei servizi finanziari. Londra si mostra sicura di non essere destinata, almeno nel breve-medio termine, a perdere il proprio ruolo di hub europeo della finanza. Il mercato finanziario londinese ha prosperato negli ultimi decenni, con la capitale britannica diventata la principale piazza dell’Unione per credito, trading e investimenti. Il futuro, però, è ancora da scrivere e la futura reale dimensione e influenza della City (che nel passato ha attirato anche molti italiani) sono in discussione. Non è chiarissimo come l’accordo impatterà sull’industria dei servizi finanziari. Le parti hanno convenuto durante i negoziati sulla Brexit di discutere separatamente le questioni che riguardano il settore. Il governo del Regno Unito ha affermato in un documento che l’intesa include disposizioni a favore degli scambi di servizi, inclusi quelli finanziari e legali. Dal primo gennaio in ogni caso le società britanniche perderanno l’accesso automatico al mercato unico europeo. Per avere rapporti con i clienti dell’Ue alle istituzioni finanziarie inglesi dovranno essere concessi diritti equivalenti in base ai quali Bruxelles consentirà di gestire alcune attività. Come avvenuto per le clearinghouse, le società di compensazione che servono per assicurare che le transazioni vengano onorate anche in caso di inadempimenti.

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Il commercio

L’Ue offre alla Gran Bretagna un accesso al suo mercato di 450 milioni di consumatori senza dazi doganali o quote su tutte le merci che rispettano le regole di origine appropriate. Si evita così un’interruzione nelle catene di produzione, un indubbio successo per il Regno Unito, che però dovrà rispettare standard precisi. Questa apertura sarà accompagnata infatti da condizioni rigorose: le aziende d’oltremanica dovranno rispettare un certo numero di regole in termini di ambiente, diritto del lavoro e fiscalità per evitare qualsiasi dumping. L’accordo, secondo una analisi della Coldiretti, salva 3,4 miliardi di euro di esportazioni agroalimentari in Gran Bretagna, unico settore del Made in Italy cresciuto nel 2020 Oltremanica nonostante la fase recessiva provocata dalla pandemia. Sono stati gli imprenditori del settore agroalimentare infatti i primi a tirare un sospiro di sollievo dopo gli accordi sulla Brexit. Il valore delle loro esportazioni è infatti la prima voce dell’export italiano verso il Regno Unito mettendo assieme i prodotti di agricoltura, pesca e silvicoltura (286 milioni), alimentari (2.133) e bevande (1.020). Vino, ortaggi trasformati, pasta, dolci, formaggi e carni preparate, sono nell’ordine i cibi italiani sempre più acquistati dagli inglesi: + 43% negli ultimi dieci anni e addirittura col segno positivo (seppure solo un +1%) durante il 2020.

 

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