La popolazione sulla terra alla fine del secolo diminuirà, nessuna bomba demografica, nuovi studi smentiscono l'ONU

La popolazione sulla terra alla fine del secolo diminuirà, nessuna bomba demografica, nuovi studi smentiscono l'ONU
di Franca Giansoldati
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Martedì 28 Marzo 2023, 12:18 - Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 10:09

Contrariamente alle proiezioni demografiche prevalenti, compreso quelle delle Nazioni Unite, il rischio di una futura bomba demografica sul pianeta terra non ci sarà: il futuro potrebbe essere meno fosco di quanto immaginato. Il picco degli abitanti tra vent'anni potrebbe arrivare a 8,5 miliardi di persone, per poi decrescere progressivamente. Attualmente siamo 8 miliardi e secondo l'Onu nel 2050 saremo 10 miliardi.

I contesti studiati per arrivare a questa stima sono stati fatti con diversi metodi comparativi dal Club di Roma – tra i più autorevoli think thank internazionali – e riguardano sostanzialmente due possibilità.

In pratica il team ha utilizzato un nuovo modello di dinamica di sistema. Nel primo scenario - denominato Too Little Too Late - il mondo continuerà a svilupparsi economicamente in modo simile agli ultimi 50 anni, in questo modo molti Paesi più poveri si libereranno dalla povertà estrema. I ricercatori stimano che la popolazione globale potrebbe raggiungere un picco di 8,6 nel 2050 prima di scendere a 7 miliardi nel 2100.

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Nel secondo scenario, invece, chiamato "Salto gigante", i ricercatori stimano che la popolazione raggiunga un picco di 8,5 miliardi di persone intorno al 2040 e scenda a circa 6 miliardi di persone entro la fine del secolo. Questo risultato sarà raggiunto grazie a investimenti senza precedenti nella riduzione della povertà - in particolare nell'istruzione e nella sanità - e a straordinarie svolte politiche in materia di sicurezza alimentare ed energetica, disuguaglianza ed equità di genere. In questo scenario la povertà estrema viene eliminata nel giro di una generazione (entro il 2060), con un forte impatto sulle tendenze della popolazione globale.

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Il rapporto si basa su una nuova metodologia che incorpora fattori sociali ed economici che hanno un impatto comprovato sulla natalità, come l'aumento dei livelli di istruzione, in particolare per le donne, e il miglioramento del reddito. Il rapporto delinea due scenari a seconda della misura in cui tali politiche vengono perseguite.

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. Le nuove proiezioni dei ricercatori dell'iniziativa Earth4All per la Global Challenges Foundation sono state pubblicate nel documento di lavoro «People and Planet, 21st Century Sustainable Population Scenarios and Possible Living Standards Within Planetary Boundaries».

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«Sappiamo che il rapido sviluppo economico nei Paesi a basso reddito ha un impatto enorme sui tassi di fertilità. I tassi di fertilità diminuiscono quando le ragazze hanno accesso all'istruzione e le donne sono economicamente più forti e hanno accesso a una migliore assistenza sanitaria» ha dichiarato Per Espen Stoknes, responsabile del progetto Earth4All e direttore del Centro per la sostenibilità della Norwegian Business School.

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L'analisi ha riguardato, in particolare, dieci regioni del mondo, come l'Africa subsahariana, la Cina e gli Stati Uniti. Attualmente, la crescita demografica è più elevata in alcune nazioni dell'Africa, come Angola, Niger, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria, e dell'Asia, ad esempio in Afghanistan. Naturalmente le nuove previsioni sono una buona notizia per l'ambiente globale. Una volta superata l'impennata demografica, la pressione sulla natura e sul clima dovrebbe iniziare a diminuire, insieme alle tensioni sociali e politiche associate.

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Nel caso in cui si continui ad agire come se nulla fosse, si legge nella ricerca,  si prevede che le politiche esistenti siano sufficienti a limitare la crescita della popolazione globale al di sotto dei 9 miliardi nel 2046, per poi scendere a 7,3 miliardi nel 2100. Questo, avvertono, è troppo poco e troppo tardi: «Sebbene lo scenario non porti a un collasso ecologico o climatico totale, la probabilità di collassi societari regionali aumenta comunque nel corso dei decenni fino al 2050, come risultato dell'approfondimento delle divisioni sociali sia interne che tra le società.»

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