Biden sbarca in Europa, la svolta sui vaccini: «Un piano per il mondo»

Biden sbarca in Europa, la svolta sui vaccini: «Un piano per il mondo»
di Flavio Pompetti
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Giovedì 10 Giugno 2021, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 10:36

«Ho un piano per la distribuzione mondiale del vaccino e lo annuncerò» ha promesso Joe Biden mentre saliva sull’Air Force One che lo avrebbe portato a Londra. L’amministrazione statunitense è ben cosciente della crisi della circolazione dei vaccini che sta dividendo la scena globale in un «universo a due velocità» come ha detto qualche giorno fa il direttore dell’Oms Tedros Ghebreyesus. Da una parte i paesi ricchi del G7 con i quali Biden si consulterà per i prossimi due giorni, i quali hanno ricevuto dalle case farmaceutiche dall’inizio della campagna di vaccinazione 76 dosi singole per ogni 100 abitanti; dall’altra l’Africa, dove lo stesso campione di residenti ha a disposizione fino ad ora il misero numero di tre dosi.

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RIFLESSI IMMEDIATI
La disponibilità dell’antidoto ha riflessi immediati sull’economia.

I paesi comunitari si stanno dotando dei passaporti immunitari e riaprono le porte all’arrivo dei turisti stranieri, mentre quelli abbandonati dalla logica della distribuzione dei farmaci soffrono l’ingiuria aggravata dell’isolamento.

La World Bank ha appena rivisto in alto (+5,6%) le stime per le prospettive di crescita globale per il 2021, la più poderosa ripresa dopo una recessione a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Lo stesso rapporto denuncia però una flessione del pil per i paesi più poveri del mondo. Sta crescendo inoltre il problema della deperibilità dei vaccini accumulati nei paesi ricchi. Le campagne di stimolo alla vaccinazione hanno prodotto risultati fenomenali negli Stati Uniti dove 41 dei 50 stati sono già tornati alla piena riapertura delle attività economiche. L’impulso è però ora in remissione, nonostante i tanti incentivi ideati per convincere i ritardatari. L’amministrazione Biden ha promesso che renderà esportabili presto 80 milioni di dosi destinate ai paesi più bisognosi, ma anche a quelli strategici dal punto di vista del soft power come Taiwan, che è stata inserita nella lista dei destinatari con l’ovvio intento di imbarazzare Pechino.

LA SOLUZIONE
Il G7 è l’ambito ideale per formulare una soluzione. La rappresentativa Usa arriva a Londra con la proposta già presentata al Fondo per l’infanzia dell’Onu, la quale invita i sette paesi a maggior sviluppo economico a conferire tra giugno e agosto il 20% delle dosi dei vaccini al gruppo di Accesso globale (Covax) patrocinato dall’Oms, in modo da accumulare 150 milioni di fiale da cedere ai paesi meno abbienti. C’è poi l’iniziativa lanciata da Papa Francesco e raccolta da Biden e da Mario Draghi, per la sospensione del diritto di autore nei brevetti dei vaccini, che permetta ai paesi meno forniti di produrre il farmaco in loco a seconda delle necessità, come hanno chiesto India e Sud Africa.

L’OSTACOLO
Finora l’ostacolo maggiore su questa strada è il parlamento di Bruxelles, che ha votato contro a fine maggio, e anche ieri ha glissato con una formulazione generica che prevede una «circolazione più spedita» dei vaccini, ma sempre entro i confini comunitari, e nuovi fondi che agevolino la distribuzione tra i paesi membri. I numeri finora ventilati sono comunque insufficienti a risolvere il problema di una distribuzione più equa. Gregg Gonsalves, attivista per la salute globale e professore di epidemiologia all’università di Yale, li ha definiti «un cerotto di fronte ad una ferita da machete».

L’ACCORDO
Più incisivo è l’accordo che sarebbe stato raggiunto tra l’amministrazione di Washington e la Pfizer, del quale ha anticipato ieri il contenuto il New York Times. Il governo statunitense avrebbe negoziato l’acquisto ad un prezzo «non remunerativo» per la casa farmaceutica di 500 milioni di dosi, 200 milioni da consegnare quest’anno, 300 l’anno prossimo, da cedere poi ad una lista di 100 paesi meno forniti al momento. Se confermato, sarà un primo passo nella giusta direzione, e anche l’indicazione che gli Usa sono pronti non solo a riprendere la collaborazione interrotta sul piano internazionale durante il mandato di Donald Trump, ma a rilanciare il ruolo di leader che in passato ha giocato nelle maggiori crisi globali. Da sola l’iniziativa statunitense non sarà comunque risolutiva. Solo uno sforzo collettivo potrà rispondere alla richiesta di aiuto che viene da miliardi di persone ancora in attesa del vaccino.
 

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