Kateryna Prokopenko si commuove quando pensa all’ultimo ricordo felice: il giorno di san Valentino, a Mariupol, «quando tutto era ancora pieno di vita. Eravamo così felici io e Denis». Anche se Azov aveva già iniziato ad addestrare i civili in caso di attacco. «Poi me ne sono andata e dieci giorni dopo è iniziata la guerra - ricorda - Adesso a Mariupol non c’è più nulla, nessuna casa è rimasta in piedi. Eravamo convinti di poter liberare la città, ora lì non esiste più nessuna città». Kateryna è la moglie di Denis Prokopenko, comandante del battaglione Azov. Racconta l’ultima telefonata con il suo uomo: «Non l’ho mai sentito così cupo - dice - era appena stato bombardato l’ospedale dove erano ricoverati molti suoi amici. Ci siamo sentiti all’una di notte e all’improvviso la connessione è saltata, mi diceva che stavano bombardando. Quando non l’ho sentito più parlare è stato un tuffo al cuore. Il mattino dopo mi ha detto che erano cadute almeno cinquanta bombe che hanno raso al suolo l’ospedale».
Denis è sempre stato pieno di vita, convinto a resistere fino alla fine, «lui mi dava speranza, diceva sempre che avremmo vinto.
LO STREMO
Le forze sono allo stremo, i medicinali scarseggiano. «I feriti stanno morendo in modo atroce - dice Yulya Fedosiuk, 29 anni, assistente parlamentare e moglie del combattente Arseniy Fedosiuk - chi è ferito non può venire medicato e ha il corpo che sta marcendo. Non ci sono antidolorifici, è tutto insopportabile». Mancano anche cibo e acqua: «Il poco che hanno lo dividono con i civili, con i bambini, mangiano alimenti scaduti, sono costretti a bere acqua non potabile, quella che si trova nei macchinari dell’acciaieria. Non possono nemmeno portare via i cadaveri e seppellirli». Yulya ha deciso di parlare in russo, negli studi di Porta a Porta dove è stata ospite insieme a Kateryna, ad Adrianova Olha e Anya Naumenko, moglie e compagna di altri due combattenti di Azov. Sono a Roma per lanciare un appello all’Italia e all’Ue: chiedono aiuto per salvare i loro mariti, «ma anche i bambini e i nonni rimasti a Mariupol».
Parla nella lingua del Cremlino per dimostrare come a Kiev non ci sia una discriminazione nei confronti della minoranza linguistica, come ha sostenuto Putin: «Molti componenti di Azov parlano in russo - dice Yulya - difendono la libertà, non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa». E sulle accuse mosse ai loro uomini di fare parte di un’armata di estrema destra, risponde: «Azov non ha compiuto violenze in Donbass, se guardiamo le immagini del Donetsk si vede che nessuna casa è distrutta, mentre a Mariupol non c’è una casa in piedi». E poi c’è Olha, 31 anni, moglie di Sergey Petrenko. Ha la voce rotta dall’angoscia: «Non sento mio marito da una settimana. Era nell’ospedale che è stato colpito, non so se è vivo o morto. Lui non mi parla mai della guerra, non vuole trasmettermi il terrore. Dice che devo continuare a vivere e a credere». Anya Naumenko, 25 anni, fidanzata di Dmytro Danilov, si sarebbe dovuta sposare in maggio. «Stanno cercando le forze per reggere, ogni giorno è più difficile, ma non possono arrendersi senza garanzie. Spero che la luce riuscirà a vincere contro il buio, perché il buio è il male ed è Putin».