Kateryna Prokopenko, la moglie del comandante della Brigata Azov: «Denis resiste, ma senza più speranze»

I mariti combattono nell'acciaieria Azovstal di Mariupol, loro sono partite per salvarsi accompagnate dal dissidente russo Verzilov

Kateryna Prokopenko, la moglie del comandante della Brigata Azov: «Denis resiste, ma senza più speranze»
di Michela Allegri
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Giovedì 28 Aprile 2022, 17:36 - Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 09:09

Kateryna Prokopenko si commuove quando pensa all’ultimo ricordo felice: il giorno di san Valentino, a Mariupol, «quando tutto era ancora pieno di vita. Eravamo così felici io e Denis». Anche se Azov aveva già iniziato ad addestrare i civili in caso di attacco. «Poi me ne sono andata e dieci giorni dopo è iniziata la guerra - ricorda - Adesso a Mariupol non c’è più nulla, nessuna casa è rimasta in piedi. Eravamo convinti di poter liberare la città, ora lì non esiste più nessuna città». Kateryna è la moglie di Denis Prokopenko, comandante del battaglione Azov. Racconta l’ultima telefonata con il suo uomo: «Non l’ho mai sentito così cupo - dice - era appena stato bombardato l’ospedale dove erano ricoverati molti suoi amici. Ci siamo sentiti all’una di notte e all’improvviso la connessione è saltata, mi diceva che stavano bombardando. Quando non l’ho sentito più parlare è stato un tuffo al cuore. Il mattino dopo mi ha detto che erano cadute almeno cinquanta bombe che hanno raso al suolo l’ospedale».

Denis è sempre stato pieno di vita, convinto a resistere fino alla fine, «lui mi dava speranza, diceva sempre che avremmo vinto.

Dopo l’ultima notte, quando al posto dell’ospedale è rimasto un cratere grande come un palazzo di cinque piani, non ha più avuto parole. Siamo sotto choc. L’unica speranza è che l’Unione europea attivi delle procedure di estrazione per salvare i nostri uomini». Sono intrappolati nell’acciaieria di Mariupol, resistono da due mesi all’assedio, «sono come chiusi in una gabbia a scontrarsi con una tigre».

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LO STREMO

Le forze sono allo stremo, i medicinali scarseggiano. «I feriti stanno morendo in modo atroce - dice Yulya Fedosiuk, 29 anni, assistente parlamentare e moglie del combattente Arseniy Fedosiuk - chi è ferito non può venire medicato e ha il corpo che sta marcendo. Non ci sono antidolorifici, è tutto insopportabile». Mancano anche cibo e acqua: «Il poco che hanno lo dividono con i civili, con i bambini, mangiano alimenti scaduti, sono costretti a bere acqua non potabile, quella che si trova nei macchinari dell’acciaieria. Non possono nemmeno portare via i cadaveri e seppellirli». Yulya ha deciso di parlare in russo, negli studi di Porta a Porta dove è stata ospite insieme a Kateryna, ad Adrianova Olha e Anya Naumenko, moglie e compagna di altri due combattenti di Azov. Sono a Roma per lanciare un appello all’Italia e all’Ue: chiedono aiuto per salvare i loro mariti, «ma anche i bambini e i nonni rimasti a Mariupol».

 

Parla nella lingua del Cremlino per dimostrare come a Kiev non ci sia una discriminazione nei confronti della minoranza linguistica, come ha sostenuto Putin: «Molti componenti di Azov parlano in russo - dice Yulya - difendono la libertà, non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa». E sulle accuse mosse ai loro uomini di fare parte di un’armata di estrema destra, risponde: «Azov non ha compiuto violenze in Donbass, se guardiamo le immagini del Donetsk si vede che nessuna casa è distrutta, mentre a Mariupol non c’è una casa in piedi». E poi c’è Olha, 31 anni, moglie di Sergey Petrenko. Ha la voce rotta dall’angoscia: «Non sento mio marito da una settimana. Era nell’ospedale che è stato colpito, non so se è vivo o morto. Lui non mi parla mai della guerra, non vuole trasmettermi il terrore. Dice che devo continuare a vivere e a credere». Anya Naumenko, 25 anni, fidanzata di Dmytro Danilov, si sarebbe dovuta sposare in maggio. «Stanno cercando le forze per reggere, ogni giorno è più difficile, ma non possono arrendersi senza garanzie. Spero che la luce riuscirà a vincere contro il buio, perché il buio è il male ed è Putin».

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