Jewher Ilham: «Aziende occidentali fanno affari con i campi di prigionia cinesi»

Jewher Ilham
di Italo Carmignani
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Mercoledì 18 Dicembre 2019, 18:39
STRASBURGO  - «Cosa direbbe mio padre se mi vedesse ora qui a ritirare il premio? Beh, mi direbbe che non devo ritirarlo solo per lui, ma per tutte le persone imprigionate ingiustamente». Il viso tondo, il sorriso aperto, Jewher Ilham non vorrebbe essere a Strasburgo a ritirare il premio Sakharov per la libertà di pensiero in nome di suo padre Ilham Tohti, intellettuale uiguro condannato all'ergastolo dalle autorità cinesi per la sua lotta a difesa dei diritti della minoranza musulmana nella regione dello Xinjiang. «Perché se non fossi qui, vorrebbe dire che di questi premi non c’è più bisogno e che mio padre sarebbe libero». Attraverso il suo presidente David Sassoli, il parlamento europeo invita la Cina, non solo a liberare immediatamente l’intellettuale uiguro, ma anche «a prendere molto sul serio le mie parole, perché sono le parole di tutta l’Europa». Accanto a Sassoli, la figlia di Tohti annuisce e spera. 

Jewher Ilham, da quanto tempo non vede suo padre?
«L'ultima volta che ho avuto notizie di mio padre era nel 2017, quando alcuni membri della mia famiglia lo avevano incontrato in carcere. Aveva perso diversi chili, era dimagrito molto ed i suoi capelli erano diventati grigi».
Da allora, più niente?
«Nessuna notizia, non so nemmeno se sia in salute o meno. Se sia vivo»
Qual è la sua più grande paura rispetto a quanto può accadere nei campi di prigionia cinesi?
«Di non essere più in grado di avere sue notizie, di non poterlo aiutare e di non poterlo vedere mai più. Ogni volta mi trovo a parlare in pubblico di lui ho paura sia alla memoria». 
Immaginiamo potesse rivolgersi direttamente alle autorità cinesi, cosa chiederebbe loro?
«La mia speranza è di poter essere ascoltato dal presidente Xi Jinping. A lui farei una sola domanda: presidente, immagini per un solo minuto che tutto questo stia accadendo alla sua famiglia. Ecco, gli direi questo». 
Cosa può fare invece l’Europa per la situazione di suo padre e per tutte quelle situazioni in cui è violata in modo così grave la libertà di pensiero?
«Questa è una domanda molto politica e io non sono una persona che s’intende di politica, ma una cosa la posso dire»
Quale?
«Sanzionare quei funzionari cinesi che sostengono e organizzano i campi di rieducazione. Non chiedo sanzioni per tutti i funzionari del governo cinese tout-court, ma solo nei confronti di alcuni di loro».
Sia più precisa
«Di coloro che si occupano dei visti. Che poi è il problema di tutti quei paesi in cui sono limitate le libertà di pensiero e di circolazione. Ma l’Europa può fare anche altro».
Sul fronte delle libertà, l’Europa ha una grande sensibilità e vanta numerose prese di posizione. Per esempio nei confronti della Russia.
«Lo so e sono molto felice, come sono orgogliosa di questo riconoscimento dedicato a mio padre. In questo senso, andrebbero anche colpite le compagnie che esportano beni e prodotti creati in questi campi di prigionia e che importano prodotti per mantenere aperti questi campi. Un business fruttuoso a livello economico e monetario per la Cina che sfrutta la violazione dei diritti della persona. Ecco, questo chiedo».
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