Shoah, appello del vescovo di Assisi: «Cerchiamo i discendenti di una famiglia ebrea, abbiamo trovato i documenti su chi li salvò»

Si cercano i discendenti di due famiglie, i Moszkowicz e i Bram. I documenti trovati in una parrocchia di Figline Valdarno

Shoah, appello del vescovo di Assisi: «Cerchiamo i discendenti di una famiglia ebrea, abbiamo trovato i documenti su chi li salvò»
di Franca Giansoldati
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Martedì 14 Febbraio 2023, 12:28 - Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 00:22

Il Museo della Memoria di Assisi fondato dal vescovo Domenico Sorrentino per non disperdere e destinare all'oblio quegli atti di eroico altruismo che si sono compiuti durante la persecuzione nazista per salvare ebrei e perseguitati politici ha lanciato un appello alla comunità ebraica mondiale per ritrovare i discendenti di due famiglie, i Moszkowicz e i Bram. «Vorremmo chiedere se ricordano la storia dei loro nonni o bisnonni. Abbiamo trovato della documentazione – ha spiegato Marina Rosati, curatrice del Museo - che dimostra che la memoria, se coltivata, riaffiora. Ci appelliamo dunque alle Comunità ebraiche, alle varie associazioni dei sopravvissuti, a chiunque conosca questa famiglia e soprattutto eventuali parenti che possano raccontare della permanenza in Assisi di questa famiglia».

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A far riaffiorare i giorni drammatici in cui la famiglia Moszkowicz e Bram, marito e moglie, con il figlio adolescente Simone arrivarono rocambolescamente ad Assisi provenienti da Genova, grazie a lasciapassare falsi prodotti dalla curia genovese, sono stati alcuni documenti conservati finora in una della parrocchie umbre.

La cittadina di San Francesco durante il periodo bellico ha di fatto funzionato come centro di smistamento di tanti ebrei perseguitati e non sono mancate pagine di autentico eroismo, tutte documentate. 

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In questi giorni la nuova testimonianza è arrivata da una parrocchia di Figline Valdarno: «Nel dicembre del 1943 o nel gennaio del 1944 - è scritto nel documento trovato - si presentò una famiglia di ebrei (...) Mi presentarono un biglietto del cardinale Elia Della Costa, in cui mi pregava di mettere in salvo i latori del biglietto. Venivano da Genova, dove il Cardinale Siri aveva procurato loro i documenti, naturalmente falsificati, li mandai a San Martino Altoreggi, ma ci rimasero poco tempo, perché i tedeschi cominciavano a battere la zona. Rimasero nascosti nel convento delle suore Stimmatine, e venivano aiutati per il vitto dal comitato di liberazione ed in particolare dal Pellari».

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Il documento inedito prosegue: «Poi, muniti di denaro e di lettere commendatizie, rilasciate dalla parrocchia si spostarono verso sud e, dopo varie peripezie raggiunsero Assisi, dove furono accolti in un convento di suore, in cui rimasero fino alla liberazione. In seguito, in tempi più tranquilli, andarono a stabilirsi a Parigi, dove appresero che i genitori della signora e sette fratelli erano stati trucidati dai tedeschi. Dopo alcuni anni ritornarono a Figline per farci visita ed esprimere la loro riconoscenza e, più tardi, anche il figlio della coppia fece sosta a Figline durante il viaggio di nozze». 

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Ad Assisi, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 fino al 16 giugno del ’44 (giorno in cui le truppe tedesche abbandonarono la cittadina umbra) quasi ogni singolo cittadino dei circa 4mila abitanti di allora accolse altrettanti tra sfollati e perseguitati. La storia antifascista e antinazista della cittadina è stata anche raccontata in un film Assisi underground del regista bielorusso Alexander Ramati. Una pellicola dedicata alla memoria dei 300 ebrei che trovarono rifugio nei conventi e le residenze private. Nel palazzo vescovile in cui avvenne la spogliazione di san Francesco, scamparono alla Shoah tanti ebrei. Nel settembre del ’43 monsignor Nicolini aprì le porte «ospitando contemporaneamente fino a cinquanta persone, con le quali divise tutto ciò che aveva», scrive Annabella Donà curatrice della mostra permanente. All’ingresso del Museo della Memoria c'è  la macchina Felix, usata dai tipografi Brizi per falsificare i documenti. Grazie all’elenco telefonico di Roma e con una serie di pseudonimi («per lo più meridionali o aggiustamenti dei cognomi: tipo i Viterbi che divennero la famiglia Vitelli») i Brizi permisero agli ebrei di ottenere le tessere annonarie con cui poterono sfamarsi. Lettere, documenti e  foto inedite raccontano un passato che non può essere dimenticato.

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