Afghanistan, quel tesoro di minerali che fa gola a Russia e Cina che vale mille miliardi

Afghanistan, quel tesoro di minerali che fa gola a Russia e Cina che vale mille miliardi
di Flavio Pompetti
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Giovedì 19 Agosto 2021, 07:07 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 07:45

C'è un'altra guerra, silenziosa e sotterranea, che ha accompagnato il confronto tribale e la lotta dei talebani per il controllo dell'Afghanistan negli ultimi trent'anni, tra l'occupazione russa e quella statunitense. È la guerra per il controllo dei minerali, in quella che è forse l'ultima terra di frontiera ancora esistente al mondo: ricca di materie prime, povera di risorse per utilizzarle, e di controllo politico per evitare la loro fuga all'estero. Il prodotto interno lordo dell'Afghanistan è di appena 19 miliardi l'anno provenienti per lo più dal traffico dell'oppio, che è comunque un prodotto base di estrema importanza per buona parte delle industrie farmaceutiche internazionali. Il Pil afghano non è tra i più bassi del mondo, ma è certamente tale da porlo nel versante dei paesi poveri. Per contro, la ricchezza nascosta nelle viscere del suo territorio ammonta ad almeno mille miliardi di dollari. Giacimenti di oro, rame, uranio e pietre preziose abbondano nel paese.

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La mappa del tesoro 

La prima mappatura del tesoro fu fatta da geologi russi a metà degli anni '70, non a caso a pochi anni dall'ingresso dei carri armati sovietici a Kabul, al culmine di uno dei tanti conflitti con gli Usa in tempi di Guerra Fredda. Incapace di dar vita ad una industria estrattiva in larga scala per mancanza di risorse industriali e finanziarie, il paese si è dotato con l'aiuto della World Bank di una legge che centralizza il rilascio delle licenze, per evitare che i gruppi tribali che hanno il controllo delle province autorizzino contratti con le società estere.
Ma l'Afghanistan non è un campione di legalità, e trent'anni di dissesto politico non hanno certo aiutato ad assicurare il controllo centrale del potere.

Il rapporto

I russi durante i nove anni di occupazione hanno fatto man bassa di smeraldi, rubini, cobalto e zaffiri. Poche settimane dopo l'11 settembre 2001 il Pentagono commissionò alla geologa Bonita Chamberlin un rapporto sulle risorse minerarie dell'Afghanistan, che una volta confezionato indicava 1.407 possibili siti minerari e 91 risorse estraibili. Tra queste il più importante è il litio, vettore della rivoluzione elettrica prossima ventura. La sua disponibilità è tale da aver fatto ribattezzare il paese: «L'Arabia Saudita del litio». È stata questa consapevolezza secondo l'Occrp l'agenzia statunitense che fa da cane da guardia alla corruzione internazionale, a motivare le estensioni della durata della missione militare, sia durante il mandato di Obama che quello di Trump.

Nei primi mesi della sua presidenza Donald Trump su sollecitazione di Ashraf Ghani inviò a Kabul tre esperti minerari per studiare la possibilità di estrarre terre rare, essenziali per l'industria elettronica.

Il Pentagono in quegli anni ha usato la task force per la stabilizzazione economica dell'Afghanistan e dell'Iraq per introdurre nella provincia di Kunar un contrattista privato dell'area della Difesa degli Usa: la Sodevco, che iniziò ad estrarre la preziosa cromite, materiale di estrema purezza usato come additivo nella rifinitura dei pannelli di aereo e dell'acciaio. Il divieto legale fu aggirato nominando dietro lauta commissione il fratello del presidente, Hashmat Ghani, amministratore della Sodevco afghana. La licenza di estrazione fu concessa da due signori della guerra locali, vera autorità amministrativa della regione, e il governo Usa finanziò il progetto con 4 milioni di dollari in macchinari estrattivi. La truffa fu scoperta due anni dopo, e portò alla cancellazione del programma.

Le risorse

La scarsa centralizzazione del potere gioca a favore di chi ha capitali da investire, ed è determinato ad appropriarsi delle risorse. È così che i cinesi negli ultimi anni sono riusciti ad assicurarsi contratti per lo sviluppo di infrastrutture del valore di 110 milioni di dollari. Una cifra ridicola se paragonata al potenziale estrattivo della miniera di rame Aynak, il secondo giacimento per volume al mondo, che la cinese MCC Group si è assicurato nel 2007 con un contratto per lo sfruttamento della durata di trent'anni.

La Cina soffre la mancanza di materie prime entro il suo territorio, ed è a caccia di contratti dovunque possibile. Il rame afghano sarà un additivo potente alla sua economia, quando sarà possibile estrarlo. Finora le operazioni sono state ostacolate dalla mancanza di sicurezza, e da una disputa sullo spionaggio operato dall'intelligence di Pechino ai danni di iuguri afghani. La svolta politica offre ora nuove possibilità e nuove sfide. I talebani potrebbero divenire il nuovo referente delle operazioni estrattive internazionali, ma la loro spina nel fianco ancora una volta è la scarsa tenuta delle cerniere nelle province, specialmente del nord, particolarmente ricco di litio.

 

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