Afghanistan, dalla sindaca alla preside: le donne che resistono. «Noi non ci arrendiamo»

Afghanistan, dalla sindaca alla preside: le donne: «Noi non ci arrendiamo»
di Simona Verrazzo
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Mercoledì 18 Agosto 2021, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 07:29

Resistere per non soccombere. È questo lo spirito delle donne in Afghanistan, dopo lo shock e il terrore che hanno accompagnato la presa di Kabul da parte dei talebani, la scorsa domenica, e la proclamazione della rinascita dell’Emirato islamico. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo mostrano l’aeroporto di Kabul e i velivoli sulla pista presi d’assalto da uomini di ogni età. Pochissime le donne riprese nei video amatoriali già diventati pezzi di storia. Ma non è mancata la reazione delle afghane.

La risposta - La prima risposta è arrivata da Zarifa Ghafari, che a soli 27 anni è la sindaca più giovane dell’Afghanistan, nella provincia di Maidan Wardak. In carica dal 2018, appena 24enne, conosce bene la furia dei talebani che le hanno ucciso, lo scorso anno, il padre. «Verranno per le persone come me e mi uccideranno – ha dichiarato – Sono seduta qui in attesa che arrivino. Non c’è nessuno che aiuti me o la mia famiglia. Sto con loro e mio marito. Non posso lasciarli. E comunque, dove andrei?» Da settimane la giovane donna denuncia il pericolo di ritorsioni. Ora il suo ultimo appello. L’immagine di Zarifa Ghafari è quella di una sindaca impegnata nel proprio ruolo istituzionale, ma anche di ragazza ventenne che ha speranza nel futuro. In una delle foto tratte dal suo profilo Twitter è ritratta seduta su un muretto, mentre dà le spalle al tramonto sulla sua città, Maidan Shahr, con il velo che le copre i capelli e la mascherina anti-Covid in mano. Le donne nel mondo delle istituzioni sono pronte a non rinunciare alle conquiste ottenute in vent’anni. Già lo scorso venerdì l’International Association of Women Judges aveva avvertito il pericolo che avrebbero corso quelle che ricoprono questa carica così come i loro familiari. Si stima che in Afghanistan vi siano circa 270 donne giudici, in tutti i livelli del potere giuridico, e che almeno un centinaio facciano parte dell’Afghan Women Judges Association. Soltanto a gennaio due donne entrambe giudici presso la Corte Suprema sono state uccise in pieno centro a Kabul. Il mondo dell’informazione è tra i settori che più di tutti teme il bavaglio dei talebani in nome del rispetto della religione islamica. Ed è proprio nel giornalismo che le donne afghane hanno saputo maggiormente affermarsi. La prova è arrivata grazie a Tolo TV, la più importante emittente indipendente del paese. Ieri Beheshta Arghand è andata in onda come tutti i giorni, a volto e collo scoperti, truccata, e ha intervistato Maulvi Abdulhad Hemad, alto funzionario dei talebani, che ha incalzato con domande sul futuro delle donne.

Per tutta la giornata le giornaliste di Tolo TV hanno continuato a fare il loro lavoro. La cronista Hasiba Atakpal ha raccontato della situazione a Kabul con un collegamento dal bazar, riferendo che «il numero di donne in città è diminuito dall’ingresso dei talebani».

Il fallimento - Anche chi non è più in politica non vuole arrendersi ed è pronto ad assumersi le proprie responsabilità, a volte più obiettivamente degli uomini. Hosna Jalil è stata vice-ministro dell’Interno, prima donna a ricoprire una carica così alta all’interno del dicastero. A lei è stata affidata la delega agli Affari femminili e si è contraddistinta per aver visitato 26 dei 34 distretti che compongono l’Afghanistan, cosa mai fatta dai suoi colleghi uomini. Il suo giudizio è lapidario. «Considerando che ci siamo arresi senza alcuna resistenza, direi che non abbiamo fallito militarmente, ma abbiamo fallito politicamente», ha dichiarato. L’istruzione è l’altra grande incognita. Sono di ieri i video in cui si vedono bambine e ragazze andare a scuola con l’hijab e non con il burqa, ma i timori restano. I presidi sono tra le figure più prese di mira dai talebani, soprattutto quelli degli istituti femminili. Se poi sono dirigenti scolastici donne il pericolo è ancora maggiore. Lailuma Khaliqyar è stata inserita nella lista dei migliori presidi dell’Afghanistan e teme che la sua scuola femminile, nella provincia di Parwan, venga fatta chiudere. Per adesso la sua scuola resta aperta, ma non sa per quanto. Anche lo sport non vuole cedere all’oscurantismo talebano. Dopo l’appello delle giocatrici di calcio, è arrivato quello di Zakia Khudadadi, prima atleta afghana a qualificarsi per le Paralimpiadi, in programma a Tokyo dal 24 agosto. «Ho ancora fiducia, vi prego: aiutatemi a partecipare. È il mio sogno, ho lottato 5 anni per arrivare dove sono», ha detto la lottatrice di taekwondo.

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