11 settembre, Martina Gasperotti: «La telefonata di mamma che mi ha salvato la vita»

11 settembre, Martina Gasperotti: «La telefonata di mamma che mi ha salvato la vita»
di Maria Lombardi
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Sabato 11 Settembre 2021, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 00:50

E poi si torna a quei “se”, ancora e ancora, fino a farne la misura dei giorni. Se non fosse squillato il cellulare quell'11 settembre, «mamma, sì tutto bene. Tra poco vado a scuola». Se gli ascensori fossero stati a un passo, «li stavo cercando, ero appena entrata nella Torre Nord. Volevo prenotare una cena al ristorante panoramico». Se per colpa del jet lag si fosse svegliata ancora prima quella mattina, «alloggiavo a Brooklyn e dormivo poco. Così mi ero incamminata per fare un giro a Manhattan». Se non avesse risposto a quella chiamata. «Mamma? Ho sentito uno strano rumore, non capisco. Sarà scoppiato un tubo». «Mi raccomando, stai lontana dal fumo». 


IL CASO
Per uno strano incastro di attimi, per un miracoloso incrocio di “se”, «o chissà cosa: non era il mio momento, il destino, la fortuna, la vita è scritta, è stato il mio Superenalotto», Martina Gasperotti è qui a raccontare il suo 11 settembre. «Ero arrivata a New York da tre giorni, per imparare l’inglese.

E non l’ho mai imparato. Avevo 28 anni, lavoravo in una Rsa di Reggio Emilia». Sei mesi di aspettativa per frequentare una scuola a New York, «sarei dovuta tornare tra Natale e Capodanno». Alle 8,46 era nella Torre Nord. Cosa ha sentito? «Ero al telefono con mia madre, mi trovavo al pianoterra. E ho sentito un boato, un rumore strano. Come uno scoppio in lontananza o un piccolissimo terremoto. Non mi sono allarmata. Invece di andare verso gli ascensori sono uscita per capire cosa era successo. Vedevo solo fogli che volavano in cielo. Tutti correvano verso una direzione, li ho seguiti. Ho visto lo squarcio. Qualcuno parlava di un aeroplano. Ma dove lo vedono l’aeroplano?, pensavo. Ma non ci sentivamo in pericolo, qualcosa succedeva in alto e noi eravamo in basso».


LA FUGA
Diciassette minuti dopo, lo schianto del secondo aereo. «L’abbiamo sentito arrivare, volava basso. E l’ho visto entrare nella Torre Sud. Stavamo tutti lì, a guardare in alto. La sensazione del pericolo l’ho avuta quando ho visto crollare la prima Torre. Lì ho detto: scappa. E mi sono messa a correre. Correvo, correvo e mi mancava il respiro. Ero nel panico, pensavo che sarei rimasta sepolta da qualche parte. Andavamo verso Nord, un serpentone di persone, quando abbiamo sentito il boato del secondo crollo. Ricordo le urla, i pianti, la disperazione, le sirene delle ambulanze. Ero ricoperta di polvere. Un’ambulanza ci dava acqua e stracci bagnati per la gola secca. Provavo a chiamare mia madre e non ci riuscivo. L’ho sentita solo qualche ora dopo: ciao ma’, sto bene. E lei: lo sapevo».


Sei giorni ancora a New York, lunghe passeggiate a respirare polvere. «Sono tornata in Italia il 17. Per un mese sono rimasta seduta sul divano, come una larva. Volevo solo stare davanti alle tv a guardare quelle immagini fino alle 3, 4 di notte. Mangiavo poco. Su consiglio di un’amica medico ho deciso di intraprendere un percorso psicoterapico, ma presto ho capito che nessuno mi poteva aiutare. Sono andata avanti da sola, facendo banalmente passare il tempo». 


Ma i giorni non correvano più come prima, e quei “se” non si potevano cancellare. «Al lavoro mi dicevano: dai Martina rientra, prova a reagire. Ci ho provato, ma dopo qualche mese mi sono licenziata. A pensarci adesso roba da matti, rinunciare a un posto fisso. Ma non tolleravo più l’idea di un badge da timbrare. Volevo essere padrona della mia vita. Così ho cominciato un percorso di libera professione, ho preso un’altra laurea e sono diventata igienista dentale».


Martina vorrebbe che i suoi ricordi facessero riflettere sul valore del tempo. «Dobbiamo viverlo a pieno, è davvero un attimo. Guardarsi allo specchio ed essere sorridenti. Alla fine la cosa più importante è avere con le nostre persone un rapporto di aiuto. Tu hai bisogno, io ci sono. Sempre». È tornata a New York l’anno dopo e nel 2011, spingendo il passeggino della figlia, oggi quindicenne. «I viaggi sono la mia passione. Ma non so se tornerò a Manhattan. Parlo l’inglese del viaggiatore, mi sono messa il cuore in pace».

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