Da Janis Joplin a Caterina Caselli: in mostra a Roma i "look maledetti" degli anni '60

Janis Joplin credits Ansa.it
di Gustavo Marco Cipolla
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Sabato 24 Marzo 2018, 13:06 - Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 19:48

L'abito come espressione estetica della controcultura del '68. Flower power, pantaloni a zampa d'elefante hippie style, giubbotti in pelle, minigonne e giacche pattern nella mostra "Il Look Maledetto", fino al 15 maggio prossimo alla Cappella Orsini di Roma, con la curatela di Roberto Lucifero, Dora Giannetti, Silvio Viarengo e Margot Skilling. All'interno della rassegna "The Magic Trip", nata con l'intento di narrare le origini sociali e i fenomeni di costume che dagli anni '60 hanno influenzato la contemporaneità, ecco un percorso espositivo realizzato grazie agli abiti d'archivio della collezione privata "Elizabeth the First", che dal quartiere Prati porta in un allestimento site specific outfit che ripropongono le mise delle star ribelli, italiane e internazionali, della seconda metà del secolo scorso. Jimi Hendrix, la voce graffiante di Janis Joplin, Jim Morrison, The Beatles, ma anche i Nomadi nostrani e il caschetto d'oro Caterina Caselli, raccontati attraverso la riproduzione degli abiti per parlare del segno culturale che questi artisti hanno lasciato nel panorama musicale e nella moda.
 

 


«Ho visitato le tante mostre che ci sono in questo periodo in giro per l'Italia e dedicate al 1968. Sono tutte mostre meravigliose, alcune con dei pezzi stupendi, ma non si capisce affatto quali siano le logiche che hanno generato il '68.» spiega il direttore del Centro Studi Cappella Orsini Roberto Lucifero, che aggiunge «Questa mostra, quindi, è stata pensata per far comprendere al visitatore i motivi per i quali il '68 è passato alla storia. A mio avviso, in quanto antropologo e studioso di comunicazione, è che per la prima volta, da parte dei musicisti, ci sia stata la consapevolezza che diventare un manifesto politico attraverso la loro immagine e il loro apparire sulle copertine dei dischi e sui rotocalchi avrebbe dato un messaggio molto forte al pubblico. Un manifesto che assume caratteristiche differenti nei diversi paesi come Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti».

Nell'esposizione undici scenari illustrano la manifestazione esteriore, e quindi più visibile, della rivoluzionaria controcultura giovanile sessantottina. Ed è proprio nell'abbigliamento che costumi tradizionali di paesi esotici ed iconografie ispirano l'estetica multiculturale di capi da indossare e che iniziano a diventare a tutti gli effetti unisex. «Siamo partiti dall'ispirazione musicale dei gruppi più famosi degli anni '60 e '70 per arrivare al mood complessivo del look dell'epoca che ha stravolto il concetto contemporaneo di moda. In quegli anni si inizia a vestirsi partendo dalla strada, è nato lo street style.

Prima le ragazze imitavano le mise di aristocratiche e principesse o delle attrici, dal '68 in poi, invece, le principesse cominciano ad imitare le ragazzine che indossavano gilet e jeans sdruciti o con fiori dipinti a mano» sottolinea Dora Giannetti, owner della collezione "Elizabeth the First".
Look esistenzialisti, bon ton, dal fascino etnico. Abitini, anche con motivi floreali, dal taglio a sbieco come quello di Ken Scott che evoca la mise di Sylvie Vartan che canta "Comme un garçon" nel '67. E poi una creazione firmata Pierre Cardin con dettagli animalier. Dal Pop europeo all'Anglo American Wing, passando per i ricordi di Woodstock, un viaggio ideale e magico fatto di abiti che riproducono i look maledetti dei cantanti di quel periodo in una suggestiva scenografia nel cuore della città a due passi da Campo de' Fiori. 

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