Pauline Ducruet, la stilista figlia di Stephanie di Monaco: «Disegno abiti no-gender, con la camicia che diventa una gonna»

Pauline Ducruet, 27 anni, in total look Alter
di Silvia Cutuli
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Venerdì 1 Ottobre 2021, 16:10

Niente scarpette di cristallo ai piedi per Pauline Ducruet, piuttosto sneaker scattanti. La figlia ventisettenne di Stephanie di Monaco e Daniel Ducruet, nipote di Grace Kelly e del Principe Ranieri III, sedicesima nella linea di successione al trono del Principato, marcia spedita sul terreno della moda con il suo brand Alter, eco-sostenibile e unisex, fondato nel 2018. Un progetto maturato già sui banchi di scuola, dall’Istituto Marangoni a Parigi alla Parson’s School of Design a New York, città che con la sua cultura underground fa da propulsore alla sua moda anticonformista che trascende i generi e le stagioni, regalando «la libertà di essere se stessi».

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Determinata e competitiva anche in virtù della sua carriera sportiva da tuffatrice professionista - accantonata dopo i Giochi Olimpici Giovanili di Singapore 2010 – la designer professa una moda basata su solidi valori, la sostenibilità ambientale in primis.

Da piccola, ricorda di aver vissuto per un periodo in un circo in Svizzera a contatto con la natura e gli animali; un impegno verso l’ambiente che oggi porta avanti al fianco della Fondazione dello zio, il principe Alberto II di Monaco e con il suo brand Alter che ha ottenuto il Marchio Butterfly, la certificazione promossa dall’azienda londinese Positive Luxury. Una moda sostenibile per materiali e processi di lavorazione ma anche per ritmi: Pauline Ducruet sceglie di presentare una sola collezione l’anno durante la settimana della moda di Parigi, rinfrescata con piccoli drop di nuovi pezzi. L’ultimo è stato lanciato in questi giorni a Parigi all’interno di un temporary store allestito fino a domani, con i capi acquistabili sull’e-commerce Talia Collective e fisicamente a Londra da Wolf and Badger, specializzato in brand indipendenti.

Come nasce Alter Design?

«Sin da bambina ho sempre saputo che avrei avuto un mio brand di moda: quando giocavo con le bambole mi interessavo dei loro vestiti e non delle loro storie. Alter l’ho maturato già da studentessa alla Parson’s School di New York; volevo una mia linea, così come del resto ha fatto anche mia madre in passato, disegnando la linea di costumi da bagno Pool Position. La sfida di Alter è di unire la moda unisex e non-binaria con la sostenibilità: per me non è importante fare abiti belli, ma capi che abbiano valori solidi. In termini di estetica c’è un contrasto tra tessuti pregiati e di lusso e le silhouette fluide pensate per accogliere persone e non generi».

E quindi a chi sono destinati i suoi capi?

«Il marchio è unisex e non binario e quindi non si identifica con i generi maschile e femminile: di base una maglia può essere indossata da un uomo e da una donna allo stesso tempo. Quando disegno penso a una personalità moderna a-gender e vedo la mia collezione indossata da mia madre, da mio padre, come da mio fratello. Durante i miei soggiorni studio all’estero a New York, ma anche a Londra e Parigi, ho osservato come la comunità transgender non fosse rappresentata nella moda e questo ha segnato il mio percorso».

Come ha combinato l’unisex con la sostenibilità?

«La sostenibilità è un valore per la moda: quello dell’abbigliamento è un settore tra i più inquinanti al mondo, e credo che debba fare il salto. Il cambiamento è necessario e urgente e da designer dobbiamo usare la nostra creatività per diffondere più consapevolezza sul tema. Con Alter ho iniziato lavorando molto con il denim e l’upcycling: la nostra iconica giacca jeans nasce da jeans vintage – almeno tre paia – decostruiti e riassemblati in una sorta di remake. Nella collezione 2021 ho mixato spalle appuntite molto Anni ’80 con l’eleganza francese di tuniche fluide e lunghe camicie in seta pensate anche per essere indossate come gonne, accanto a giacche in pelle più strutturate».

Quanto sua madre, la principessa Stephanie di Monaco e sua nonna Grace Kelly la ispirano?

«Mia madre ha un grande impatto sul mio senso dello stile: guardo le sue foto e mi colpisce il contrasto forte tra i look glamour delle serate di gala e quelli casual in jeans e scarpe da ginnastica. Credo poi che ogni mamma sia un’icona di vita per i propri figli, i nostri mondi si incontrano per iniziative ed eventi come per Unaids Monaco, l’associazione che lei presiede. Di mia nonna Grace Kelly conservo gelosamente un cappotto di Givenchy, ma non ho avuto modo di conoscerla: solo studiando moda mi sono resa conto di quanto abbia influenzato il cinema e lo stile, soprattutto con Dior all’epoca».

Dall’America all’Europa: dove porterà il suo Alter?

«Tra i mercati più interessanti oggi trovo che ci siano l’Inghilterra e l’Italia con cui ho un legame speciale. L’Italia ama la moda e ha una vocazione nella scoperta di nuovi designer. Credo che l’approccio americano allo stile sia più basato sulla funzionalità; mentre in generale in Europa c’è maggiore attenzione all’estetica».

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