Frida Giannini: l'addio a Gucci? Non si può piacere a tutti

Frida Giannini
di Maria Latella
5 Minuti di Lettura
Domenica 14 Dicembre 2014, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 11:46

A fine ottobre, quando ci siamo incontrate per il libro che sto scrivendo per Feltrinelli, Frida Giannini era in partenza per un lungo viaggio che l'avrebbe portata in Russia e in Estremo Oriente.

«Ci sono tante nuove boutique da inaugurare, tanti nostri clienti da incontrare. La cosa che desidero di più, di questi tempi, è sapere che la gente entra nei negozi». Le chiesi come reagiva ai pettegolezzi, echi di guerre di potere che riguardavano anche lei e la sua postazione di creative director di Gucci. «Non puoi piacere a tutto il mondo - mi rispose - Quando mi capita di diventare un bersaglio mi dispiace, non tanto per me, ma per gli effetti destabilizzanti che si riflettono su chi lavora al mio fianco».

Le voci che, negli ultimi tempi, la davano meno salda al potere le erano note. Ma Frida Giannini non è una facile da destabilizzare: «Ogni volta reagisco mettendo la quarta, non il folle. L'unica reazione possibile è indossare una maschera e andare avanti. Se no soccombi. Vivo l'azienda come se fosse mia. Gioisco, mi arrabbio... Insomma, faccio fatica a considerarmi una semplice dipendente».

LA CHIAVE

Ecco forse è anche in questa frase, non solo nei dati sulle vendite di Gucci, la chiave della decisione comunicata da François Henry Pinault alla coppia Di Marco-Giannini.

Certo, il lusso sembra affascinare meno i nuovi ricchi che ormai tanto nuovi non sono. Dopo vent'anni di pazza corsa a comprare l'ultima borsa o il cappotto di alpaca più alpaca che ci sia, un po’ ovunque, dalla Russia alla Cina, i capricciosi clienti cominciano a sembrare più appagati se non ancora satolli. Ma, rallentamento delle vendite a parte, il fatto è che Frida Giannini, ormai, era ella stessa Gucci. Forse troppo. Per questo, forse, è venuto il momento di restituire, e non solo metaforicamente, il marchio all'azienda.

«Vedi, in fondo noi siamo impiegati. Impiegati di lusso, certo. Ma pur sempre impiegati. Possono licenziarci da un giorno all'altro». Una sera di due anni fa, Patrizio Di Marco rifletteva cosi, con pragmatico buon senso, sulla sua condizione di privilegiata precarietà. Nessuna nube, allora, si profilava all'orizzonte del suo ultradecennale rapporto professionale con la Kering dei Pinault. Di Marco era allora ben in sella sulla poltrona di amministratore delegato di Gucci e come lui era solidamente al vertice Frida Giannini, sua compagna, madre della loro bambina, Greta, e direttore creativo della maison.

Una coppia di potere ma, cosa davvero rara nel mondo della moda e del lusso, una coppia autenticamente pratica. Consapevole che, da quelle parti, tutto può cambiare. E molto rapidamente.

Ne avevo avuto ulteriore conferma incontrando Frida Giannini per il libro in fase di scrittura. «Patrizio ed io viviamo con la consapevolezza che questa condizione non sarà eterna, non durerà tutta la vita» mi disse allora.

E aggiunse: «Ogni tanto penso a quello che farò dopo». Già, che cosa si fa dopo essere stata per quasi dieci anni la star indiscussa di Gucci, dopo aver reinventato il brand portandolo dall'aggressività anni 90 di Tom Ford alla femminilità sofisticata del 2.0? «Mi piacerebbe godermi mia figlia. Passare tre mesi a Sabaudia. E mi piacerebbe viaggiare». Ma se è in viaggio tutto l'anno, replicai. «Sono in viaggio per lavoro. Scendo in un albergo, incontro i giornalisti, presenzio a un evento. E il giorno dopo riparto. Non ho quasi mai il tempo di visitare davvero i posti in cui vado».

Ragazza testarda, Frida Giannini da Roma. La madre, insegnante di storia dell'arte, aveva insistito perché facesse il liceo classico e lei, figlia unica, aveva obbedito. «Ma, preso il diploma, mi sono imposta. La moda era la mia autentica passione e mi sono iscritta all'Accademia, a Roma». Tra i vestiti, del resto, c'era cresciuta: fino a non molti anni fa sua nonna era proprietaria di un'apprezzatissima boutique nel centro di Latina. «In Accademia ho trovato un'insegnante. Liliana, che mi ha fatto capire che cosa potevo fare, fin dove potevo arrivare - mi raccontava Frida Giannini due mesi fa - Quando serviva, Liliana mi riportava con i piedi per terra».

I piedi per terra. Per l'ex direttrice di Gucci non è un'espressione come un'altra. È uno stile di vita, una convinzione, un principio categorico dal quale non si deroga. Le chiesi dove pensava di iscrivere la sua bambina, Greta, quando sarebbe venuta l'ora della scuola materna. Una scuola privata? Internazionale? «Io ho fatto le scuole pubbliche, dalle elementari al liceo, e mi sono trovata bene. Lo so, i tempi sono diversi ma Greta è già nata in una famiglia privilegiata, tra genitori che vivono immersi in un mondo a volte irreale. Ecco, non voglio che Greta cresca staccata dalla realtà. Mi piacerebbe frequentasse un asilo di quartiere, che stesse con bambini di tutte le condizioni sociali».

«Dai miei genitori - ricordava - ho appreso serietà e senso del lavoro. Grazie a loro ho capito che cosa significa prendersi un impegno e portarlo avanti».

Prendersi un impegno e portarlo avanti fino alla fine: Frida Giannini firmerà le prossime due collezioni che sfileranno a gennaio e a marzo. Poi, si vedrà.

La scommessa è che cosa farà dopo i tre mesi con Greta e Patrizio, sulla spiaggia di Sabaudia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA