Armine Harutyunyan, il pubblicitario Panzeri: «Per Gucci una tattica di comunicazione»

Lele Panzeri (foto di Andrea Colzani)
di Valeria Arnaldi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 2 Settembre 2020, 18:15 - Ultimo aggiornamento: 18:16

Lele Panzeri, pubblicitario, firma di alcune campagne entrate nella storia - e nella memoria collettiva - dagli slogan “Liscia, gassata o Ferrarelle?” e “Sfrizzola il velopendulo” per Golia bianca fino a “La rivoluzione non russa” per il Manifesto, cosa pensa del “caso” nato intorno alla modella Gucci, Armine Harutyunyan, attaccata da molti sul web per l’aspetto distante dagli abituali canoni da passerella?
«Non so dire se la modella sia bella o brutta, non so quali siano i requisiti per farlo, dipende da chi guarda. Peraltro, osservandola bene, io la trovo abbastanza affascinante. E pensando al passato, in altri campi, ci sono state figure che sono emerse nonostante non rientrassero nei canoni di bellezza tradizionali. Penso a Barbra Streisand e Anjelica Huston, che a prima vista possono sembrare non belle ma hanno grande fascino. Dal punto di vista pubblicitario, però, direi che la scelta del brand è stata tattica. Si evince il desiderio di emergere dalla massa delle comunicazioni».

Armine Harutyunyan, “saluto romano” davanti all'Altare della Patria, è polemica. Il web la difende: «Stava scherzando»

Solo una questione pubblicitaria o anche un’azione tesa a valorizzare le donne?
«Magari a qualcuno all’interno di Gucci la questione sta molto a cuore, ma onestamente a me non sembra che dietro tale scelta ci sia la volontà di valorizzare la donna o sfatare certi preconcetti. A prima vista, la trovo una decisione dettata dalla volontà di distinguersi dagli altri. Una scelta tattica coraggiosa. Qualche anno fa, un altro brand scelse una ragazza bellissima affetta da vitiligine: l’immagine si è imposta all’attenzione. Credo che prediligere una modella che non rientra nei canoni abituali sia un modo per distinguersi».

Ha funzionato.
«Sì, pienamente, guardando alla discussione che ne è nata. Ha ottenuto un cassa di risonanza di gran lunga superiore a quella delle normali campagne di moda. Un’operazione un po’ diversa ma che, per certi versi, possiamo ritenere analoga è stata quella fatta da Benetton ai tempi delle campagne con Oliviero Toscani, che di fatto riuscivano ad avere successo prima ancora di essere pubblicate».
 

 


Al di là della finalità, scelte di questo tipo possano comunque contribuire a cambiare lo stereotipo della bellezza femminile?
«I canoni di bellezza femminile non mi sembrano cambiati granché. Trovo differenze tra oggi e trecento anni fa, ma non tra oggi e vent’anni fa. Le donne considerate belle oggi lo erano anche ieri e viceversa. Le grandi modelle degli anni Ottanta sono ancora bellissime, forse pure più di quelle di oggi. I parametri non stanno cambiando, sta mutando l’approccio a tali questioni da parte di chi fa campagne pubblicitarie».

Già “Liscia, gassata o Ferrarelle?”, nel manifesto con la Gioconda, suggeriva punti di vista differenti sul medesimo soggetto…
«Erano tempi diversi. Ha tolto un po’ il tappo all’advertisement. Quella pubblicità faceva informazione ed entertainment. Penso a Ferrarelle, alla coeva campagna che ho fatto per Golia ma anche a lavori di altri colleghi. Ecco, nel caso di “Liscia, gassata o Ferrarelle?” non era tattica ma strategia. Le acque con effervescenza naturale erano poche, all’epoca forse Ferrarelle era l’unica, la campagna mirava ad allargare il mercato. Alla strategia si univa la tattica del linguaggio scanzonato. Sono passati quarant’anni. Qui però non credo che Gucci abbia come strategia quella di continuare per sempre a usare modelle distanti dai canoni».

Da professionista del settore, ritiene che questa tattica sia già "vecchia"?
«Sì e no. Magari tra un po’ non funzionerà più e si troveranno altri mezzi per emergere, non passando attraverso l’immagine della modella ma, chissà, forse attraverso la comunicazione  verbale. Da sempre i pubblicitari si affannano a cercare un modo di comunicare diverso dagli altri. In alcuni settori, come in quello delle auto, negli spot si cerca l’omologazione, perché si è visto che funziona. In altri ambiti, come la moda, no. A me piacciono i pubblicitari che cercano strade nuove e questo di usare una modella diversa da quelle abituali è un tentativo di farlo, peraltro ben riuscito. Bravi quelli che fanno comunicazione alla Gucci».

Nessuna rivoluzione in vista, dunque.
«Be’, sarebbe stato più rivoluzionario forse se questa scelta l’avesse fatta un brand low cost, alla portata di tutti, ci sarebbe stato più pepe anche nel dibattito. Un brand low cost, se vuole osare, deve farlo molto di più o rischia di essere frainteso».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA