E la libertà indossò una minigonna, addio a Mary Quant

E la libertà indossò una minigonna, addio a Mary Quant
di Anna Franco
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Venerdì 14 Aprile 2023, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 10:41

«Non sono stata io a inventarla e non è stato Courrèges, ma la strada», diceva la stilista britannica Mary Quant a proposito della sua invenzione più celebre, la minigonna, sulla cui paternità (o maternità) si era creata una diatriba tra i due designer. Ora questo celebre capo, che ha fatto la storia del costume, che ha "liberato" le donne negli Anni Sessanta fornendo un nuovo modo di vestirsi e di vivere, è rimasto orfano. Ieri Mary Quant, nominata dama dalla regina Elisabetta nel 2015 e insignita all'inizio dell'anno del Companion of Honor da re Carlo III per i servigi resi alla moda, sovrana indiscussa della Swinging London, «si è spenta serenamente all'età di 93 anni nella sua casa nel Surrey», come comunica la famiglia.


Nata nel 1930 in un sobborgo della capitale inglese per seguire la sua strada si dovette ribellare ai genitori, ai quali doveva tutto, ma non una prima benedizione per le sue aspirazioni.

I due, insegnanti e accademici, vedevano come rischiosa una carriera nella moda per la figlia, che a 16 anni andò a cercar fortuna a Londra. Qui conobbe Alexander Plunket Greene, rampollo di nobili origini, suo grande amore e futuro marito, «un metro e 87 di Mick Jagger e Paul McCartney riuniti in un solo uomo», lo descriveva. I due viaggiarono molto, vissero all'insegna della libertà e quando Alexander, a 21 anni, ereditò una discreta somma di denaro, entrarono anche in affari, aprendo nel 1955 una piccola boutique in King's Road, Bazaar.

Look Chelsea


Da qui partì la rivoluzione di Quant: «Non avevo tempo di aspettare la liberazione delle donne, ho deciso di salvare le ragazze dall'essere costrette a vestirsi ancora come le loro madri». Così, decise di frequentare corsi serali di modellista e di taglio e cucito. Era il 1963 e gli orli delle gonne esposte nel suo negozio si accorciavano sempre di più e il mantra, tra lei e le sue clienti, sembrava essere solo uno: "più corte!". Intorno c'era tutto il resto: gli abiti a trapezio in jersey e senza maniche, gli stivali in gomma, i gilet, i maglioni aderenti a costine sottili, gli impermeabili in pvc e, poi, i collant coloratissimi e tutto a un prezzo accessibile. I suoi disegni erano presi in prestito dall'abbigliamento maschile, annullando già allora le demarcazioni di genere. Una combinazione che diede vita al "look Chelsea", esportato ed emulato in tutto il mondo, che vedeva in Twiggy, la prima top model britannica, la perfetta e longilinea incarnazione. Non si trattava solo di una serie di vestiti, ma di un modo di essere, tanto che il look comprendeva anche un caschetto. Era un chiaro simbolo di ribellione anch'esso nei confronti di un'iconografia che vedeva la donna con lunghe e romantiche chiome boccolute o tenute a freno da delicati raccolti. Il taglio era stato ideato e lanciato dal grande amico della Quant, il parrucchiere Vidal Sassoon, che per lei studiò quel bob cut che l'ha accompagnata fino agli ultimi giorni di vita. La designer, forse, nel continuo scambio con la strada e con quei tempi ricchi di trasformazioni non pensava che stava cucendo la storia: «È stato meravigliosamente eccitante e, nonostante il lavoro frenetico e duro, ci siamo divertiti moltissimo. Non ci rendevamo conto che ciò che stavamo creando era pionieristico, eravamo semplicemente troppo occupati ad assaporare tutte le opportunità e ad abbracciare i risultati prima di correre alla sfida successiva!».

Il make-up

I benpensanti storcevano il naso, chi era ancorato al passato vedeva quegli indumenti che, nel nome, erano ispirati a un'altra icona britannica, l'automobile Mini, come scandalosi e un oltraggio al buon costume, ma le ragazze impazzivano per quel look, scambiando le gonne al ginocchio con quelle cortissime per le scale dei palazzi, sfuggendo ai divieti dei genitori. Alexandra Shulman, ex caporedattore di British Vogue, ha dichiarato: «È stata una delle figure veramente influenti nella moda e ha ridefinito il modo in cui le donne pensavano a se stesse. I suoi vestiti invogliano a comportarsi in modo diverso e riflettono i cambiamenti degli anni Sessanta, quando le giovani donne hanno iniziato a lavorare e a prendere la pillola. È stata anche una delle prime stiliste a rendersi conto dell'importanza di lanciare una linea di make-up». Chissà se al suo funerale metteranno la canzone del 1939 We'll Meet Again (Ci incontreremo ancora) di Vera Lynn. In un'intervista del 2016 al The Guardian diceva che l'avrebbe voluta proprio per quel momento: note vecchio stile per una rivoluzionaria, ma che sembrano mettere bene in chiaro che il genio di Mary Quant vivrà per sempre. Almeno ogni volta che una ragazza accorcerà un po' di più l'orlo della sua gonna.

 

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