La moda è (anche) psicologia, la terapeuta social Chiara Salomone spiega il suo brand Neurofashion: «Pieghiamo le regole»

La moda è (anche) psicologia, la terapeuta social Chiara Salomone spiega il suo brand Neurofashion: «Pieghiamo le regole»
di Chiara Rocca
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Mercoledì 8 Giugno 2022, 13:34 - Ultimo aggiornamento: 14 Giugno, 15:23

«Ignoriamo i codici. Pieghiamo le regole». No, non è il manifesto di un gruppo di sovversivi, ma di un brand di moda. Si chiama Neurofashion e propone una linea di abbigliamento sostenibile, i cui capi si adattano a tutte le occasioni, sono “pronti ad affrontare le sfide del tempo e dello spazio”, si legge sul sito ufficiale. Niente genere, niente taglia, niente stagione: abiti che ignorano qualsiasi regola del vestiario tradizionale per diventare uno strumento di espressione, un ambiente protetto nel quale vivere e trasformarsi. Chiara Salomone, fondatrice del brand, è una psicologa, specializzata in scienze cognitive e processi decisionali. Viene dal mondo del marketing, ma la moda è sempre stata «un’ossessione» per lei.

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L'intervista

Chiara, qual è la storia del suo brand?

«La pandemia è stata un po’ la chiave di volta, ho deciso di licenziarmi e di aprire “Moda e psiche”, una pagina Instagram attraverso la quale aiuto privati e aziende ad utilizzare il potere trasformativo degli abiti, per creare un cambiamento positivo nella loro vita. Ottengo un riscontro positivo e, nel giro di sei mesi, diventa la mia professione. Poco dopo creo Neurofashion, capsule di abbigliamento attraverso la quale porto in casa delle persone quello che predico sulla mia pagina Instagram».

E della parola Neurofashion?

«È un termine che ho coniato per definire l’unione tra le neuroscienze e la moda. Mi appartiene sotto tutti i punti di vista, anche giuridici. Da un punto di vista tecnico, lo definirei come lo studio del comportamento umano collegato a tutto quello che è il motivo per cui scegliamo di vestirci in un certo modo».

Quanto sono intrecciate moda e psicologia oggi?

«La moda è fatta dalle persone per le persone, deve aiutarle a stare bene e generare una cultura della consapevolezza dell’individuo. A chi spetta il compito più arduo? Ai creativi impegnati nella gestione di un grande balance tra quello che vogliono loro, quello che vuole il pubblico e quello che vuole il mercato. Ecco lì il lavoro è sempre molto sottile, c’è tantissima strada da fare. In questo senso la psicologia è estremamente importante, non solo utilizzata a livello di “se conosci il tuo cliente vendi di più”, ma anche in un’ottica molto più estesa».

Chi ha disegnato gli abiti della sua capsule?

«Quando ho deciso di avviare il progetto, ho contattato una giovane designer emergente e le ho chiesto di disegnare per me degli abiti senza taglia, senza genere, senza stagione, che fossero tutti bianchi e neri e che avessero le cuciture a contrasto che rispecchiassero i colori dei tre chakra fondamentali. Me li ha disegnati e poi, dopo una prima porta sbattuta in faccia, un’azienda ha deciso di produrmeli».

Come descriverebbe i suoi capi a un potenziale cliente?

«La capsule è composta da dodici capi, tutti trasformabili in modo che li si possa mettere mattina, pomeriggio e sera, abiti capaci di vestire il corpo in tutte le sue trasformazioni perché non siamo uguali al giorno prima, né moralmente, né fisicamente. E, aggiungo, menomale, significa che siamo vivi. Sono prodotti in Italia e realizzati in popeline di cotone, organza di seta e modal, tutte fibre vegetali».

Arrivano a casa in una confezione particolare, riutilizzabile e dentro c’è il libretto di istruzioni di ogni capo, con scritto il valore psicologico, il materiale, come deve essere lavato, come deve essere smaltito e come può essere riutilizzato qualora tu decidessi di non utilizzarlo più. C’è la possibilità di rimandarlo indietro, anche se lo si è usato per cinque anni, perché noi lo ricicliamo. I capi non hanno il cartellino, ma al suo posto c’è un marshmallow con su il nostro logo».

Chi è il cliente tipo di Neurofashion?

«L’ho pensato per ragazzi molto giovani che affrontano cambiamenti importanti. Ma, in realtà, è venduto tantissimo anche alle donne di 45-50 anni, cosa che non mi aspettavo assolutamente. Li acquistano perché le fa sentire giovani, sono capi che hanno in sé qualcosa di estremamente moderno e perché sono molto rivoluzionari dal momento che non le obbligano a pensare al loro corpo».

Ha mai ricevuto testimonianze di gratitudine?

«Ti racconto questa cosa: il giorno che c’è stata la manifestazione per il ddl Zan, siamo andate all’Arco della Pace e abbiamo fatto provare i capi alla gente che passava per strada. Si avvicina un ragazzo molto particolare, con calze a rete e capelli bizzarri. Prova gli abiti e la sua mamma mi dice: “Grazie perché non sai quante volte piange fuori dai negozi di vestiti”. Con Neurofashion mi sono accorta di quanti mondi esistano, completamente diversi tra loro, e di quanto attraverso i vestiti li semplifichiamo incredibilmente».

Progetti per il futuro?


«Vorrei che Neurofashion diventasse un contenitore di brand e realtà che sposano la mia stessa filosofia. Non è facile, perché una soluzione del genere è poco appetibile per il mercato: solitamente un buyer acquista cinque prodotti di ogni capo perché sono cinque le taglie, io te ne vendo una sola. In più, non c’è la differenza uomo-donna. Ci sono ancora tanti ostacoli però ci vedo una grande possibilità, quantomeno di riflessione».

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