Angelo Caroli, il re del vintage italiano: «I miei tesori amati da Pausini, Ligabue e Benigni»

Angelo Caroli, il re del vintage italiano: «I miei tesori amati da Pausini, Ligabue e Benigni»
di Anna Franco
4 Minuti di Lettura
Venerdì 5 Giugno 2020, 09:06

La piccola cittadina di Lugo (Ravenna) è nelle guide turistiche straniere e segnalata anche dal New York Times. Per un luogo: A.N.G.E.L.O. Vintage Palace, tre piani per lo shopping di abiti e accessori d'annata con tanto di sezione dedicata alle griffe che urlano lusso da ogni cucitura. Come dependance, poco distante, un palazzetto di 1000 metri quadri accoglie 150mila tra vestiti e accessori dalla fine dell'Ottocento e l'inizio del Duemila. Qui, a differenza del Palace, si può guardare, prendere, ma sempre restituire, perché il proprietario e ideatore, Angelo Caroli, 59 anni, è geloso dei suoi tesori.
«La stessa Laura Pausini passò tutto un pomeriggio a cercare un abito per il suo video Non Sono Lei - racconta - era un vestito anni Sessanta a trapezio con motivo a contrasto. Lo portò a Los Angeles, ma poi è tornato qui». Dove hanno fatto le loro scelte per servizi fotografici anche Helmut Newton, Paolo Roversi, Bruce Weber e da dove piccoli guardaroba sono volati sui set di Romanzo Criminale, La Solitudine dei Numeri Primi o La Prima Cosa Bella.

Chi è tra gli affezionati?
«Ligabue veniva spesso. Comprava soprattutto camicie da bowling, giacche sportive anni Settanta e jeans della Lee. Era capace di cercare intere giornate e lo facevo stare in magazzino per evitare che ogni persona lo interrompesse anche solo per chiedergli un autografo. Poi, però, non è riuscito nemmeno a entrare in negozio senza essere fermato da qualche fan. Lo stesso è successo con Roberto Benigni. Era venuto con la moglie, che era in cerca di un vestito, ma hanno dovuto desistere: una volta riconosciuti non c'è stato più scampo».
Lei è stato anche su un set cinematografico.
«Sì, sono stato costumista per Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il primo film con Stefano Accorsi e Violante Placido. Tutti gli abiti provenivano dal mio archivio. La regista Enza Negroni era molto attenta e perfezionista e nei primi montaggi si lamentò un po' di tutto. Si complimentò solo per i costumi, che trovò belli e adatti. Per fortuna. Un po' di ansia l'avevo».
Come è nato questo suo amore per il vintage?
«Quando ancora non si chiamava così, ma second hand o, più, prosaicamente, abiti usati. Ero appassionato di moda e nel 1978 se volevi apparire non aprivi un blog, ma facevi interventi nelle radio libere. Un mio amico deejay mi propose per pillole di stile e andò bene. Intanto, andavo a scuola, ma avevo una vita parallela: compravo abiti usati americani, soprattutto camicie botton down e tanto jeans e li vendevo ai miei amici a 1500 lire l'uno comprandoli a un terzo».
Mercato e guadagno c'erano, ma come è diventata la sua professione?
«Un ascoltatore della radio mi notò. Aveva un banco dove vendeva tessile usato, ma voleva attrarre un pubblico più giovane e mi prese come consulente. Andavamo spesso a Prato, dove c'è tuttora un grande mercato di seconda mano. Inoltre, usavo il magazzino del mio socio per continuare il commercio con gli amici. Lavavo ogni capo, così che potesse essere subito indossato e le madri protestavano un po' di meno davanti agli acquisti dei figli».
E qualcosa per sé lo teneva?
«Certo. Nel vintage funziona anche così. Ci sono cose che non ti vanno bene o che non indosseresti mai, ma ti piacciono. Il mio primo bottino è stato un abito in chiffon degli anni Venti, con ricami di perline in vetro sostenuti da un filo di rame. Lo ho ancora ed è una pietra miliare del mio archivio».
Non le dispiace separarsi da parte del suo tesoro?
«Sono un accumulatore e un conservatore e il mio archivio lo dimostra, ma devo pur sforzarmi di fare un po' di economia».
C'è qualcosa su cui non è riuscito a mettere le mani?
«A metà degli anni Ottanta non riuscii a comprare un paio di jeans del 1918 a un'asta. Me li soffiò sotto il naso un giapponese. Ero disposto a offrire 7mila dollari. Lui li prese per 7005. Me li ricordo ancora».
Dove e come acquista il vintage?
«I prodotti casual anni Novanta destinati a un pubblico più giovane li compro a Prato o a Napoli. Le cose più importanti arrivano da guardaroba di persone che hanno comperato e conservato tanto. Vendono in blocco perché hanno voglia di liberarsi di tutto ciò che non usano più».
Il guardaroba che le è rimasto impresso?
«Signora settantenne con casa a tre piani, uno dedicato solo agli abiti, che erano divisi per stanze a seconda del brand. Aveva tutto in tre taglie, di modo che potesse indossare ogni cosa sia dimagrendo che ingrassando. Ci sono voluti quattro furgoni per portare via tutto».
I prezzi?
«Se ci sono 10 capi o accessori Chanel si va subito a una valutazione di 15mila euro. Con Hermès si sale come niente a 50mila».
Cosa dovremmo tenere a casa per ritrovarci un affare tra le mani?
«Punterei su borse Louis Vuitton e Dior».
Cosa evitare?
«Non vi fate ingannare dagli abiti in plastica, tipo Courrèges per intenderci. Se sono rovinati tempo due anni e diventano polvere».
 

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