Ilaria Galbusera, capitana del volley sorde: «Per vincere gli Europei ho mandato a quel paese gli stereotipi»

Ilaria Galbusera, capitana del volley sorde: «Per vincere gli Europei ho mandato a quel paese gli stereotipi»
di Vanna Ugolini
7 Minuti di Lettura
Domenica 23 Giugno 2019, 09:46

L'abbiamo vista travolgere, insieme alla compagne, la nazionale di volley russa e trionfare agli Europei. Ilaria Galbusera, 28 anni, la capitana della squadra della nazionale volley sorde è una ragazza piena di gentilezza e di entusiamo, un libro aperto su una vita che è stata fin da subito una sfida. Una sfida vinta con l'amore per quello che fa, con l'impegno costante e la consapevolezza che si vince veramente solo se si è inclusive e ci si dedica anche gli altri. E se ogni tanto si trova la forza di mandare a quel paese gli stereotipi. 

Laureata, modella fino a qualche anno fa, Cavaliere al merito, e soprattutto capitana della squadra di volley femminile: chi è veramente Ilaria Galbusera?
«Una semplice ragazza che ama vivere la vita e la affronta col sorriso. Che vive di emozioni e che si emoziona con e per poco. Che è determinata a raggiungere gli obiettivi e che difende i propri ideali». 

Come hai cominciato a fare sport?
«La passione per la pallavolo è nata seguendo le gesta di mio fratello Roberto, che allora giocava nell'Olimpia Sav. Andavo sempre a vedere le sue partite accompagnata da mamma e papà. Mi piaceva molto vedere, non solo il gioco, ma soprattutto come i ragazzi si divertissero e socializzassero molto tra di loro, considerando che allora facevo uno sport individuale. Così a 12 anni mi sono iscritta al Volley Excelsior Bergamo iniziando nell'Under 13. Ho fatto tutte le trafile delle giovanili fino ad oggi...e di anni ne sono passati 14. Una passione che non è mai cessata».

Cosa ha significato per te lo sport?
«Lo sport mi ha permesso di essere quella che sono ora. Mi ha permesso di migliorarmi sempre, di mettermi alla prova, di tirare fuori il meglio di me. Nello sport non esiste il diverso. Lo sport unisce, fa incontrare tra loro le persone nel pieno senso del rispetto. Nuove amicizie, diventate per me importanti,  sono nate grazie allo sport. Dà la possibilità ai ragazzi sordi e non di aver piena autostima di se stessi, di acquisire sicurezza nelle proprie capacità, come è successo a me. Al tempo stesso lo sport tra i ragazzi sordi è fondamentale, in quanto permette a loro di confrontarsi, avendo le stesse difficoltà quotidiane, infatti solo con il confronto tra simili c'è la possibilità di capire che non si è soli a questo mondo. Non c'è altra persona che possa capirmi meglio di una persona sorda. Questo confronto a me è servito molto, in fase adolescenziale, in un periodo che non accettavo la mia sordità e vedere le altre compagne sorde realizzate nella vita, mi ha permesso di capire che, nonostante il limite, si può fare tutto, si può trasformarlo in un punto di forza e così è stato». 

Sei laureata: pensi di aver trovato più ostacoli nel tuo percorso di studio per via della sordità o l'ambiente universitario ti ha comunque accolto?
«Le difficoltà non sono mai mancate durante il mio percorso universitario. Ma è qui che sta la capacità di trasformarla in una “sfida” e riuscire a laurearsi per dire “ce l’ho fatta da sola” è una delle soddisfazioni più impagabili. Desidero però ringraziare pubblicamente la Antonella Semerano del Servizio di Integrazione Disabili dell’Università Cattolica di Milano per esser stata sempre “al mio fianco” in qualsiasi cosa avessi bisogno cercando di non farmi mancare nulla».

Tu hai detto che la sordità non è una malattia. Come la definiresti?
«Oggettivamente parlando la sordità può essere definita come un limite o come una mancanza. Sta poi alle persone decidere come farsene, se considerarlo un limite che può essere superato oppure una mancanza che può essere compensata. Sta tutto nella testa e nella capacità (certo, a volte non è per niente facile) di andare oltre i limiti, ma vuoi mettere una vita in bianco e nero con una vita a colori?»

Hai mai subito umiliazioni, offese per il fatto di essere non udente?
«Grosse offese e umiliazioni no. Convivi invece costantemente con l’ignoranza, a volte innocua, a volte no, della gente dettata anche dai pregiudizi e stereotipi che da sempre ci sono intorno al mondo della sordità e che sono duri a morire. Come ho detto ho affrontato un periodo difficile durante l’adolescenza, un periodo che mi sentivo “diversa”. La sordità sorgeva dal momento che mi mettevo in relazione con le persone. Così è arrivato il momento che non accettavo più il fatto che io fossi diversa dagli altri e che non mi accettavano per quella che ero. Ne sono passati di mesi finché un giorno mi sono detta "fanculo", non valeva la pena di stare così. Sono cambiata caratterialmente e interiormente. Mi è servito questo "down" per capire molte cose. Ora è un periodo che ricordo col sorriso, nonché una tappa della mia vita che è servita per essere quella che sono ora».

Il Presidente della Repubblica ti ha insignito dell' onoreficenza di Cavaliere al merito per il tuo impegno nei confronti dei ragazzi e delle ragazze con disabilità. Come hai cominciato a dedicarti anche a questo? Come affronti questo aspetto della tua vita? 
«In tutta sincerità ancora oggi mi sento ancora spiazzata e sorpresa da questa notizia perché io ho fatto soltanto quello che amo fare davvero e che mi rende più felice. Ho fatto soltanto quello in cui credo fermamente: una completa inclusione del mondo dei sordi con il mondo degli udenti, a partire dai più piccoli. Questo riconoscimento non fa altro che aumentare la voglia di continuare su questa strada:  è importante non solo per me ma, soprattutto, per tutto il mondo dei sordi perché testimonia il fatto che la sordità non può e non deve essere un limite o un ostacolo, ma uno "stimolo" per affrontare le sfide che la vita ti presenta ogni giorno e spero che molti ragazzi possano uscire dal guscio e affrontare la vita a pieni polmoni. Inoltre, aver dato visibilità ad una realtà di cui si conosce ancora veramente poco, come la sordità, perchè ancora oggi è necessario informare e sensibilizzare su tematiche di cui i media parlano poco».  

Cosa ha significato per te vincere gli Europei di volley? 
«E’ stato un sogno lungo 12 anni che è diventato finalmente realtà! È stato un susseguirsi di emozioni incredibili perché non ci saremmo mai aspettate di vincere con una finale da prestazione così perfetta. Vedendo i parziali (25-13, 25-19 e 25-16, ndr) può sembrare una partita facile: la verità è che la Russia fisicamente ci dominava. Ma rispettando alla lettera l’organizzazione tattica, abbiamo sovrastato con la tecnica le avversarie. Si percepiva un filo di intensità e spirito di squadra che collegava tutte noi dai piedi. Un gruppo molto affiatato da subito. La forza di questa squadra è stata proprio l’unità e il saperci supportare a vicenda in ogni momento, dentro e fuori dal campo e io sono tanto tanto orgogliosa di questa squadra».

Pensi che sarebbe possibile entrare in una squadra di volley fatta di atlete udenti?
«Tutte noi atlete ci alleniamo e giochiamo con le squadre udenti nei vari campionati Fipav, nei club delle città dove viviamo. C’è un lavoro di continuo coordinamento con le squadre dei club e con la Nazionale per darci la possibilità di vederci 7-8 volte all’anno per allenarci durante i raduni collegiali. La Fssi, la federazione dei sordi, deve organizzare attività per più di 30 sport: 21 sono attività olimpiche, 26 prevedono competizioni internazionali. Il sostegno economico per la logistica è purtroppo piccolo, ci hanno aiutato tanto le sponsorizzazioni della Cattolica assicurazioni e dell’azienda Cochlear: indispensabili per raggiungere questo traguardo».

Il prossimo progetto?
«Oggi parto e raggiungo i miei piccoli al Champions Camp ad Andalo (la prima di 4 settimane tra Andalo e Marina di Romea): campi estivi sportivi che organizziamo ogni anno in collaborazione con il Gss Reggio Emilia e sono Camp Multisportivi accessibili a 360 gradi dove i bambini e ragazzi sordi trascorrono una vacanza indimenticabile con i loro coetanei udenti, all’insegna dello sport e del tanto divertimento!»

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