Il caso delle studentesse suicide in Pakistan, dietro la morte di Nadia le molestie all'università

Il caso delle studentesse suicide in Pakistan, dietro la morte di Nadia le molestie all'università
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Giovedì 27 Agosto 2020, 11:03

L'ultima ragazza che si è suicidata si chiamava Nadia Ashraf, era una giovane studentessa di dottorato presso il centro di medicina molecolare all'università di Karachi, in Pachistan. Stando ai resoconti pubblicati Nadia si sarebbe tolta la vita perché oggetto di pesanti molestie da parte del suo supervisore. La vittima continuava a raccontare ai suoi amici la sua angoscia e il fatto che il professore che la vessava non le avrebbe permesso di ottenere il dottorato di ricerca, visto che «non so bene cosa vuole da me». 



Secondo l'ufficio di statistica del Paese, solo il 5 per cento dei 102 milioni di donne pakistane riesce ad accedere all'università. Secondo diverse organizzazioni non governative con il pretesto del tutoraggio, i professori spesso sfruttano e aggrediscono le studentesse come Nadia. E gli studenti sono impotenti a parlare a causa della minaccia di un voto insufficiente, della vergogna o della pressione sociale.

Negli ultimi anni, c'è stato un numero crescente di studenti che hanno provato a denunciare casi di molestie nelle università sia del settore pubblico che di quello privato. Diversi casi sono stati riportati dai media dell'Università di Karachi, della Lahore University of Management Sciences (LUMS), dell'Università di Lahore, dell'Università di Quaid-i-Azam, dell'Università di Balochistan e di altre università. Il fenomeno è evidente ma ancora osservato con una certa ritrosia da parte delle autorità. Il caso di Nadia ha fatto riscoppiare il problema a livello nazionale.





Per questo l'università di Karachi ha annunciato la formazione di un comitato di vigilanza sulle molestie in ogni dipartimento e fornendo una casella di posta per i reclami nella segreteria dei vicerettori. Per ogni caso segnalato un comitato di tre membri guidato dal presidente di un dipartimento o dal direttore di un istituto, assieme ai due professori più anziani, uomini e donne, dovranno indagare sulla denuncia depositata.

Nel frattempo ha fatto scalpore la lettera aperta di un ex studente che ha denunciato l'atteggiamento negazionista di tanti membri del personale dell'università visto che spesso scoraggiano le vittime a presentare denunce formali per il fatto che non hanno prove sufficienti e che saranno coinvolte in un lungo processo di audizione con scarse possibilità di successo.

Recentemente, nell'ambito della legge sulla protezione delle donne contro le molestie sul posto di lavoro (Protection of Women against Harassment at the Workplace Act, 2010), le università hanno ricevuto solleciti per presentare i casi segnalati e i nomi dei membri della commissione d'inchiesta nominati in ogni università. Tuttavia, finora, nessuna delle università si è preoccupata di rispondere alle istruzioni ricevute. Le università continuano a fare orecchie da mercante.






 

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