La sociologa Flaminia Saccà: «Oltre la violenza gli stereotipi, così le vittime vengono punite due volte»

La sociologa Flaminia Saccà: «Oltre la violenza gli stereotipi, così le vittime vengono punite due volte»
di Valentina Venturi
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Sabato 17 Ottobre 2020, 14:56

Sono sempre troppi i pregiudizi sulla violenza di genere. E sono ovunque, dal commento per strada, all'insinuazione professionale fino alle aule dei tribunali. Le donne, quando si trovano incastrate in relazioni sbagliate, in cui sono sottomesse o esasperate, se finiscono davanti a un giudice, sono descritte per convenzioni. Lo evidenzia, dati alla mano, lo studio dell'Università della Tuscia Stereotipo e pregiudizio (STEP): per un cambiamento culturale nella rappresentazione di genere in ambito giudiziario, nelle forze dell'ordine e nel racconto dei media, la cui responsabile scientifica è la professoressa Flaminia Saccà, in partnership con l'onlus Differenza Donna.
IL BANDO
L'equipe vince nel 2017 il bando Per il finanziamento di progetti volti alla prevenzione e contrasto alla violenza alle donne anche in attuazione della convenzione di Istanbul e studia il materiale a disposizione: deve individuare gli stereotipi in ambito giudiziario, nelle forze dell'ordine e nel racconto dei media. Emerge immediatamente un conflitto tra intenzione giuridica e rappresentazione culturale: il codice dà una traccia da seguire, ma il giudice (o la giudice) non può fare a meno di portare in aula il proprio humus intellettuale. «In questi processi - commenta la sociologa Saccà - è importante che la vittima sia considerata una teste affidabile e il magistrato che vuole sostenerne la veridicità finisce per rappresentarla in modo stereotipato: non si esce dal binomio angelo o prostituta, Maria contro Maddalena e viceversa. Da un lato c'è la donna angelo che per vent'anni sopporta di tutto, tacendo con modestia e che se denuncia o uccide è perché non può fare altrimenti. Oppure la donna che viene massacrata di botte per l'atteggiamento disinvolto, da prostituta, subisce un'attribuzione di responsabilità e la conseguente assenza di una chiara attribuzione di responsabilità al carnefice. Ogni volta che si propongono questi caratteri, si sta riproducendo uno stereotipo culturale, che non aiuta né la donna né la società ad uscire dalla gabbia della convenzione in cui è inserita da secoli».
LE SENTENZE
Si evidenzia un filo conduttore che ingabbia la vittima di violenza in uno stereotipo culturale di relazione per cui il suo comportamento viene posto sotto la lente d'ingrandimento quasi più di quello dell'uomo che invece è il colpevole. «È un dato che ricorre troppo spesso». Il progetto STEP ha poi rilevato una falla istituzionale: la mancata digitalizzazione delle sentenze di primo e secondo grado; non esistono cognizioni certe sui dati del fenomeno. «Al momento non si conoscono né i dati né le percentuali - commenta la sociologa - E se non si conosco l'entità, il dove, come, quando e perché si verifica una violenza, anche il legislatore fà fatica ad intervenire con una normativa mirata. Invece è fondamentale sapere cosa succede per i diversi reati: quanti si risolvono in condanna? Quante in assoluzioni? Per quanti anni?». Risale al 2014 l'ultima indagine sulla violenza di genere: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni subisce violenza nell'arco della propria vita e di queste solo il 10% arriva a denuncia, senza sapere quante in tribunale: ci sono diversi non luogo a procedere per cui l'Italia è stata sanzionata dall'Unione Europea.
LE DENUNCE
Il programma STEP caparbiamente è riuscito ad analizzare 250 sentenze provenienti dal casellario giudiziario del Ministero dell'Interno ed «emerge una sproporzione di denunce di casi tra Nord e Sud, per la maggiore predisposizione alla denuncia del Nord; ma se osserviamo i casi di femminicidio, che non è un reato, si scopre che sono equi distribuiti. La ragione è semplice: puoi non accorgerti di un maltrattamento in famiglia o di uno stupro, ma non puoi non vedere un cadavere. L'equi distribuzione territoriale è la spia di una trasversalità della violenza contro le donne: dove non si può nascondere, il reato è ripartito in maniera equanime».
 

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