Tumore al seno, l'arrampicata di 4 malate in Abruzzo per ritrovare fiducia

Tumore al seno, l'arrampicata di 4 malate in Abruzzo per ritrovare fiducia
di Stefano Ardito
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Mercoledì 16 Ottobre 2019, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 16:41

Non solo l'intervento e la chemioterapia. Per Antonella, Cristina, Debora, Dunia e Maria Rosaria, pazienti oncologiche (tumore al seno) dell'ospedale dell'Aquila c'è anche l'arrampicata su roccia.Per ritrovare forza e fiducia in se stesse.
Poche settimane fa, prima che iniziasse ottobre mese dedicato alla prevenzione del cancro al seno, la prima piccola grande ascesa a Monticchio, pochi chilometri dalla città abruzzese. Un esperimento pilota, il primo in Italia. «Hanno tra i 38 e i 56 anni, tutte in cura. L'arrampicata come esercizio e come dimostrazione che la vita continua. La parete può far paura a chiunque figuriamoci a chi è stato colpito da tumore eppure ce l'hanno fatta» spiega la dottoressa Katia Cannita, responsabile del day-hospital oncologico dell'ospedale ai piedi del Gran Sasso.

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LE ORE
Per le cinque signore abruzzesi, le ore in parete sono state una vera sorpresa. In una calda giornata sono state invitate dalla dottoressa Cannita e dalla sua collega Tina Spadoni dell'associazione Viva! a partecipare a una camminata sulle colline di Monticchio. Tempo qualche minuto lungo il sentiero e le pazienti si sono accorte che la meta era una parete di roccia, frequentata come luogo di allenamento e di corsi. Ad attenderle, insieme al dottor Giampiero Porzio, oncologo dell'ospedale dell'Aquila e a lungo medico del Soccorso Alpino, c'era Giampiero Di Federico, guida alpina e autore di ascensioni importanti in tutto il mondo. Momento di panico, poi la determinazione.
La voglia di superare un'altra prova. Dopo aver indossato imbragatura e casco, per qualche ora, le cinque donne si sono esercitate sulle rocce, seguendo le indicazioni del maestro, ovviamente assicurate con una corda dall'alto. «Alcune hanno esitato, temevano di fare uno sforzo eccessivo con le braccia. Ma questo accade all'inizio dei corsi di arrampicata. Anche con i giovanissimi» racconta la guida alpina.
Poi, come tutti gli allievi, anche le pazienti hanno imparato a salire usando soprattutto le gambe. «Un'esperienza importante. Ci siamo divertite concentrandoci solo sull'esercizio - racconta Cristina, una delle cinque signore - Abbiamo ritrovato le energie che credevamo perse. Ho sempre camminato sui sentieri con la famiglia e gli amici, non avevo mai provato a scalare. Averlo fatto adesso è stata una grande iniezione di fiducia». «Oggi l'80% delle donne colpite da un tumore al seno guarisce, dar loro una migliore qualità della vita, per noi, è un compito fondamentale» riflette Giampiero Porzio. Ogni anno nell'ospedale dell'Aquila arrivano circa 300 nuove pazienti. Metà di loro, considerando le condizioni fisiche e l'età, potrebbe partecipare ad attività di questo tipo. In altri ospedali hanno provato il tiro con l'arco o il Tai chi, una ginnastica cinese e anche il tango o la canoa. «Vivo a Roseto, sulla costa, e so bene che una gita in mare con un kayak può offrire delle grandi emozioni - continua il dottor Porzio - L'arrampicata, però, è di gran lunga l'attività più forte. Ha un valore simbolico, per le pazienti significa risalire verso la luce. Aiuta a ritrovare fiducia in sé stesse. Viviamo all'Aquila, in mezzo alle montagne, e scalare aiuta a sentirsi parte del proprio ambiente. Pratico la montagna da decenni, e so che arrivare su una vetta, o in cima a una parete di arrampicata, è un'emozione unica». Il primo a pensare di portare in parete delle pazienti oncologiche è stato Marco Forcatura, una guida alpina di Roma scomparsa qualche anno fa.

IL PROGRAMMA
«Nei prossimi mesi vorremmo coinvolgere le pazienti in un progetto di montagna più ampio. Camminate di uno o più giorni, passeggiate con le ciaspole d'inverno, un'arrampicata sul Gran Sasso. Magari la via Direttissima» aggiunge Porzio. «Le pazienti ci vedono spesso solo come il medico dietro alla scrivania o accanto al letto dell'ospedale - prosegue Katia Cannita - noi abbiamo deciso di non lasciarle mai. Affrontare insieme l'arrampicata serve anche a comunicare questo». E la vetta del Corno Grande aspetta.
Stefano Ardito
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