La solitudine di Alessia, per l'anagrafe Alessio morta il giorno di Pasqua dimenticata persino dalla madre

La solitudine di Alessia, per l'anagrafe Alessio morta il giorno di Pasqua dimenticata persino dalla madre
di Vanna Ugolini
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Sabato 25 Aprile 2020, 09:06 - Ultimo aggiornamento: 10:22

l rumore dei tacchi sul pavimento freddo dell’orfanotrofio era per lei come musica, la musica dell’anima. Quando finalmente scendeva il silenzio nelle camerate dove dormivano i bambini senza più genitori di Mosca, Alessia scivolava da sotto le lenzuola e andava a “rubare” per qualche minuto le scarpe coi tacchi delle assistenti. Su quei tacchi correva e ballava felice. Pochi minuti solamente, che poi avrebbe pagato caro. Pochi minuti perchè il rumore dei tacchi, la sua musica dell’anima, svegliavano i neonati e di conseguenza le tate. Erano altre punizioni, che si aggiungevano al male che faceva lo stomaco quando Alessia aveva troppa fame. Ma che belle, le scarpe coi tacchi. Che musica che facevano. Alessia Cirillo, all’epoca, si chiamava in un altro modo ed era un bambino russo, finito in orfanotrofio perchè la mamma era morta. E questa storia, per quanto triste, fino a questo punto si può ancora raccontare. Dopo, dopo bisognerebbe inventare parole nuove e non soffrire di vertigini, togliersi i tacchi per guardare l’abisso senza caderci dentro perchè sembra veramente impossibile che una vita sola possa contenere tanto dolore.




La discriminazione
Titina Ciccone, presidente dell’associazione di volontariato Spazio Bianco di Perugia, che è stata vicina ad Alessia fino a quando, a 30 anni, il giorno di Pasqua, non è morta, la definisce «una storia di abbandono per discriminazione sessuale». E’ vero, ma non basta. E, allora, cominciano da quella stanza dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia dove, per due anni, Alessia ha lottato contro un tumore. Cominciamo da Titita e dagli altri volontari che hanno regalato ad Alessia due anni di vita felice. «Alessia è venuta due anni fa per curarsi un tumore. Ci è stata segnalata dall’ospedale perchè paziente priva di risorse. Era malata di cancro e non aveva niente per sostenersi». Eppure Alessia una famiglia ce l’aveva. «A otto anni era stata adottata da una coppia campana insieme alla sorellina più piccola che era in un altro orfanotrofio». Sarebbe potuta essere una storia a lieto fine ma Alessia era un bambino che voleva diventare essere una bambina ed era diventato un ragazzo che voleva essere una donna. Questo la sua famiglia non l’aveva mai accettato, per loro era una vergogna, un disonore. In realtà Alessia, per rispettare i suoi genitori, non aveva mai insistito, aveva cercato di trovare un compromesso tra la sua vita familiare, dove era un ragazzo, e la sua vita privata: usciva di casa vestito da uomo, si cambiava, si metteva le minigonne e i tacchi e poi, quando tornava a casa si ricambiava. «Era una sorta di doppia vita, per rispettare i genitori», racconta Titina.




La scoperta
Poi, però, succede l’imprevedibile: «Alessia era andata alla festa dei femminielli a Napoli e fu intervistata da una televisione nazionale. Qualche parente dei genitori la vide, la riconobbe e lo riferì: i genitori la cacciarono di casa». Da allora Alessia vive da sola, ma ha poco tempo per cercare di riorganizzare la sua vita perchè scopre ben presto di avere un tumore. I segni li riconosce bene, perchè, quando era un bambino arrivato da poco in Italia, aveva già sconfitto un cancro infantile. Arriva a Perugia per farsi curare con una valigia piena di qualche abito e di tante scarpe con il tacco e niente altro. «Ha avuto un percorso terribile. In questi due anni ha fatto cinquantotto chemio senza mai lamentarsi, sempre col sorriso. Non si è mai messa in pigiama. Stava in ospedale vestita con la minigonna e con le scarpe coi tacchi e solo quando il male le ha bucato un polmone ed è dovuta stare sdraiata a letto, solo allora si è tolta le scarpe coi tacchi ma ha voluto che le mettessimo tutte sui ripiani della stanza, sul termosifone davanti a lei perchè le potesse avere tutte sotto gli occhi. La chemio le ha dato anche la possibilità di avere una bella chioma di capelli biondi e lunghi, una parrucca che erano i capelli che aveva sempre sognato». Difficile raccontare anche per Titina. «Usciva dalla chemio sui suoi tacchi a spillo, spumeggiante, sempre con sorriso e tutti i medici, tutti gli assistenti, hanno fatto il massimo per lei, per farla stare bene. Anche in tempi di pandemia ci hanno permesso di starle vicino, dopo che era risultata negativa al tampone. Non l’abbiamo mai lasciata sola anche se per vederla dovevamo comunque mettere lo “scafandro” e la mascherina. I suoi genitori invece no. Non si sono mai fatti vedere, non l’hanno mai voluta sentire».

Il tradimento
Bloccata su whatsapp perchè aveva messo una foto di lei truccata, «il 19 marzo, per la festa del papà - tre settimane dopo sarebbe morta - pur stando malissimo mandò un messaggio al padre e ricordo che tenne il cellulare in mano per un’ora, finchè ne ebbe la forza, sperando che le rispondesse». Niente. Una figlia cancellata perchè transgender, una bambina abbandonata due volte, anche dalla sorella «vittima e carnefice allo stesso tempo, è venuta solo una volta in questi due anni e poi non si è più fatta sentire». Tradita Alessia, anche dopo la morte. «I genitori hanno mandato un carro funebre per prendere il suo corpo. Neanche un fiore, niente. Però avevano promesso che nei manifesti funerari avrebbero messo il nome con cui lei avrebbe voluto farsi chiamare, Alessia». Invece un amico manda la foto del manifesto in cui Alessia è tornato a essere Alessio. «E’ stato come se avessero tradita Alessia ancora una volta. Per questo abbiamo sollevato il caso, abbiamo scritto una lettera per ristabilire le volontà di Alessia». Cosa può nascere da tanto dolore? La battaglia, di tutta la società civile, perchè tra le condizioni per adottare una bambino ci sia quella di non essere omofobi, di non essere tranfobici. E’ fondamentale, perchè nessuno soffra più come Alessia, glielo dobbiamo». Alessia ora riposa in un cimitero della campania e probabilmente sulla lapide ci sarà il suo nome da maschio ma lei potrà ballare lo stesso sui tacchi: «Nella bara ha voluto che mettessimo tutte le sue scarpe». E finalmente nessuno la sgriderà più quando le indosserà e ballerà, senza cadere mai, finalmente felice di essere una donna.

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