«Picchio la mia compagna, aiutatemi a cambiare»: ecco le terapie per uomini violenti

«Picchio la mia compagna, aiutatemi a cambiare»: ecco le terapie per uomini violenti
di Vanna Ugolini
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Sabato 16 Novembre 2019, 11:05 - Ultimo aggiornamento: 18 Novembre, 08:37

C'è J. che è stato un bambino che da piccolo ha subito violenza. «Con quel cane non ci volevo giocare, non lo volevo e così mi abbaiava. Mio padre si arrabbiò, slegò il cane dalla catena, mise a me il collare e mi fece stare nella cuccia, al posto suo». Da grande J. ha mandato sua moglie all'ospedale. E non è bastato. L'ha costretta a nascondersi in un centro antiviolenza. J. è uno degli ottocento uomini che sono passati al Cam, il centro per autori di maltrattamenti di Firenze, il primo aperto 10 anni fa sulla base dell'intuizione che la violenza contro le donne è, prima di tutto, un problema che riguarda gli uomini. Uomini che non sono malati e, quindi, non devono essere curati. Uomini che non hanno raptus il raptus non esiste - ma che impostano le relazioni affettive sulla violenza. Per tutta una serie di motivi. Potere, fragilità, cultura, violenza subita o assistita. «Non esiste l'identikit dell'uomo che agisce violenza spiega Mario De Maglie, vicepresidente del Cam, che è una onlus e lavora in parte con finanziamenti pubblici in parte grazie a bandi Solo una piccolissima parte di loro ha dei problemi psichiatrici ma da noi sono passati uomini di ogni classe sociale, livello culturale. È un problema trasversale. D'altra parte se cinque donne su dieci subiscono un qualche tipo di violenza significa che ci sono almeno cinque uomini su dieci che la fanno».

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L'Istat definisce la violenza di genere come «un fenomeno, ampio, diffuso, polimorfo che incide gravemente sulla quotidianità». I numeri dicono che ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa per mano dell'uomo che aveva promesso di amarla. La violenza può venire da lontano, come nel caso di J. «J. Si era rivolto a noi spiega Mario de Maglie, per cercare di cambiare. Ci ha provato ma a un certo punto ha interrotto il suo percorso. L'ho rivisto anni dopo, durante l'attività che facciamo in carcere. Era finito lì dentro per i maltrattamenti che aveva continuato a infliggere alla moglie».

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L'esperienza del Cam e degli altri centri racconta che per cambiare è necessario fare un percorso lungo. Al Cam c'è una strada tracciata che prevede colloqui individuali, incontri di gruppo, confronti con la compagna, un lavoro clinico profondo.

«Noi lavoriamo con due tipi di uomini: quelli che vengono volontariamente e quelli mandati dall'autorità giudiziaria. I primi si rendono conto di aver superato un limite. Non vengono qui perché si ritengono violenti ma perché hanno paura di perdere la compagna oppure si sono resi di aver esagerato. Non riconoscono di avere un problema con la violenza ma riconoscono che nella loro vita c'è un problema. Sono quelli che cambiano prima. Con le persone che vengono mandate, invece, il lavoro è più difficile e spesso non c'è un cambiamento». B. è andato al Cam perché aveva dato un pugno alla sua ragazza. Basta un gesto di violenza per rompere una persona e una storia, ha chiesto aiuto «ed è riuscito a fare un bellissimo percorso di consapevolezza». È come abitare a lungo dentro una stanza buia. Crediamo che quello sia il nostro orizzonte, il nostro mondo. Poi quando riusciamo ad accendere la luce, la nostra consapevolezza cambia. B. ha chiesto aiuto perché aveva paura di perdere la sua donna. «Ha cominciato a capire le ragioni della sua compagna». Quella coppia, però, non ha più funzionato. Si è rotta e ognuno ha preso strade diverse. «Però, dopo due anni, si sono incontrati di nuovo».

«Non le ho mai chiesto come si è sentita in quel periodo, voglio provare a riparare quello che fatto», ha detto B. «È più che chiedere scusa ha spiegato De Maglie è arrivare a capire come è stato l'altro. È la luce che si è accesa. Se io capisco, attraverso il lavoro clinico, che il mio comportamento fa paura, riesco a cambiare».

La cosa più difficile è portare gli uomini che agiscono violenza davanti alle loro responsabilità: è il posto più scomodo dove stare. «Non si tratta di mettere sotto accusa gli uomini, ma di porre al centro la relazione». Non si tratta di cercare dei lieto fine ma dei nuovi inizi. «La metà degli uomini che vengono da noi in maniera volontaria riallacciano il rapporto con la compagna o ricominciano relazioni con partner diversi in maniera equilibrata. La violenza fisica è la più facile da controllare, più difficile, invece, lavorare su quella psicologica. Quello che ci preme dire, comunque, è che il cambiamento è possibile». In realtà essere violenti è una scelta, non un destino. Si può decidere di non esserlo.

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