Il caso di Sara uccisa dall'ex, come riconoscere i segnali di pericolo dagli sms: «fai schifo, basta gonne corte, non vali niente»

Sara uccisa dall'ex, due anni di messaggi per annientarla: «Che schifo sti capelli gialli, tagliali corti»
di Rosalba Emiliozzi
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Sabato 7 Dicembre 2019, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 11:03

Bisogna fare attenzione al linguaggio. «Che schifo 'sti capelli gialli che ti fai, tagliali corti». Oppure: «i pantaloncini non vanno bene, toglili». E le «minigonne ti stanno male, non metterle più». E anche sugli studi aveva da ridire: «Hai preso solo 22, ma vai a lavorare che è meglio». Sono i messaggi whatsapp che Vincenzo Paduano, guardia giurata allora 25enne, mandava alla sua ex Sara Di Pietrantonio, la ragazza romana uccisa a 22 anni brutalmente. «Due anni di torture - dice la madre Concetta Raccuia - io ho visto mia figlia bruciare, ho visto l’inferno ma leggere questi messaggi sul cellulare di Sara mi ha fatto malissimo».

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Sara era una ragazza brillante, studentessa di Economia a Roma Tre, bella e determinata, con un carattere così forte da «riuscire a fare tutto, anche cose per le quali non era portata», aggiunge la mamma. Sara aveva pensato che poteva da sola disinnescare la violenza di Vincenzo, l’ex che non si rassegnava alla fine della loro relazione, e che nei due anni di rapporto da ragazzo dolce e affettuoso si era trasformato in uno stalker, anche se la ragazza non si era mai confidata appieno con nessuno, neanche con la mamma.





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 «Senza il cellulare non avremmo mai potuto dimostrare che Sara da tempo era oggetto di una violenza invisibile che puntava a distruggere la sua personalità - dice la mamma - per questo devo dire grazie al netturbino che quella notte ha trovato, in una campana per la raccolta del vetro, il cellulare di Sara. Paduano l’aveva appena buttato, era ancora acceso e il netturbino lo ha raccolto, ha visto la foto - mia figlia aveva messo un’immagine da bambina - e lo consegnato a una pattuglia della polizia pensando che poteva essere recapitato alla persona che lo aveva perso». Era il 29 maggio del 2016 e Sara era già stata strangolata e data alla fiamme. Paduano, a distanza di tre anni, è stato condannato all’ergastolo in via definitiva. E questa storica sentenza si deve un po’ anche a quel netturbino, che con il suo gesto ha permesso che l’accusa di stalking potesse essere provata in giudizio.

Oggi la mamma di Sara vorrebbe incontrarlo: «Mi farebbe molto piacere conoscerlo, stringergli la mano - dice - Quanto alla sentenza siamo stati molto fortunati, oltre al cellulare abbiamo trovato i bravissimi poliziotti della squadra mobile che hanno cercato le immagini delle telecamere e il tracce del Ggs mentre Paduano cercava di depistare incolpando altri, e poi la dottoressa Monteleone che si è occupata in prima persona del caso».

La mamma di Sara spera che tutte le donne e le ragazze imparino a scoprire i segni della violenza per fuggire in tempo da relazioni assassine. Con questo intento nasce il convegno “Sara, una sentenza storica per il cambiamento culturale”, organizzato venerdì 13 dicembre - dalle 14.30 alle 19.30 - all’aula magna Adalberto Libera Dipartimento di Architettura Università Roma Tre.

«Il ritrovamento del telefono e quindi la possibilità di esaminare l’enorme quantità di messaggi, anche vocali, con l’aiuto di una psichiatra esperta, ci ha permesso di andare a fondo nelle dinamiche del rapporto violento che Sara aveva subito da parte del suo persecutore e a inquadrare quei comportamenti nel reato di stalking, anche in assenza di minacce esplicite e violenza fisica – dice l’avvocato Stefania Iasonna -  Una violenza invisibile che è stata riconosciuta e sanzionata fino all’ultimo grado di giudizio». Le sentenze emesse in questa vicenda giudiziaria danno l’opportunità di diffondere la conoscenza delle dinamiche che sostengono e alimentano la violenza di genere, rendendo così finalmente possibile una vera prevenzione.

«Il serrato controllo, la svalutazione, l’isolamento e la denigrazione a cui era sottoposta questa giovane e bella ragazza - spiega la psichiatra Barbara Pelletti - aveva minato tutte le qualità più positive di Sara e l’aveva privata della capacità di reagire e della gioia di vivere. Per prevenire il femminicidio è questo a cui devono fare caso le donne: la perdita di vitalità è sempre effetto di una violenza che è negazione, annullamento dell’identità. Quando le donne perdono autostima, incominciano a sentirsi isolate, perdono colpi nel lavoro, nello studio, devono arrivare a capire che questo potrebbe essere legato a rapporti violenti e che farebbero bene a farsi aiutare».

Il convegno di venerdì prossimo è aperto dai saluti di Adolfo Lucio Baratta, vice direttore del Dipartimento, poi ci sarà la proiezione di uno stralcio del docufilm “Sara” scritto da Daniele Autieri, Giuseppe Scarpa e Stefano Pistolini. Per la sessione “Violenza invisibile e diritto”: intervento della mamma di Sara, Concetta Raccuia. Poi relatori: Stefania Iasonna, avvocato di parte civile della madre di Sara, Barbara Pelletti, psichiatra e psicoterapeuta, consulente di parte civile, Maria Monteleone, procuratore aggiunto e capo del pool antiviolenza procura di Roma, Teresa Manente, avvocato di parte civile della ong Differenza Donna. Modera Irene Calesini, associazione culturale Amore e Psiche

 

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