Quote rosa nei musei? La proposta che divide il mondo artistico

Quote rosa nei musei? La proposta che divide il mondo artistico
di Laura Larcan
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Domenica 2 Agosto 2020, 11:36

Chissà Frida Kahlo come avrebbe accolto la proposta. Lei, che ha cercato con tutte le sue forze (non poche, viste le sofferenze fisiche) di sopravvivere affermando la propria creatività uscendo dall'ombra ingombrante di Diego Rivera. L'idea è che un museo che istituisce le quote rosa, garantendo che le artiste donne esposte siano almeno il 30 per cento del totale. A lanciare l'operazione da settembre è Cristiana Collu, direttrice della Galleria Nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, gioiellino del Mibact, promosso nel 2015 alla gestione autonoma con la riforma voluta da Dario Franceschini. Un'apertura alla creatività femminile che si tradurrà in una mostra «in cui gli uomini non ci saranno», precisa Collu.

Ma ha senso oggi per un museo del terzo millennio parlare di quote rosa nell'attività espositiva? E soprattutto, serve impostare certe scelte curatoriali seguendo termini matematici? La proposta ha innescato un naturale dibattito nel mondo degli addetti ai lavori. Con l'intervento di illustri direttori di musei. Colleghi di Cristiana Collu, ça va sans dire. Uomini e donne. E il confronto è quanto mai aperto. James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, ricorda che le donne sono importanti per Brera, evidenziando però che la femminilità può essere celebrata sotto vari aspetti: «Brera da sempre punta sulle donne - commenta - è stata una donna Fernanda Wittgens che ha riaperto Brera dopo la guerra ed è stata la prima donna direttrice di un museo statale». E annuncia: «Pensando alle donne, dedicheremo nella prossima stagione uno dei nostri dialoghi ad Artemisia Gentileschi. Inoltre, la maggior parte delle nostre didascalie d'autore sono scritte da autrici donne. Per noi, poi, Rosa è anche la Rosa di Brera, il premio di cui ogni anno viene insignito un nostro mecenate donna, ovviamente».
Nell'arte al femminile non serve ragionare solo in termini numerici di mostre. «Io più che di quote rosa vorrei tanto parlare di occasioni - ragiona Serena Bertolucci alla guida del Palazzo Ducale di Genova - cioè sollecitare un processo in cui tutti gli artisti potessero partire da opportunità reali. Non è perché sono donna devo avere immediatamente una sede espositiva prestigiosa o un posto al parlamento. Devo però avere occasioni per dimostrare quello che valgo». «Sono d'accordo con la collega della Gnam - dichiara Martina Bagnoli direttrice delle Gallerie Estensi di Modena - Portare a conoscenza del pubblico vicende artistiche poco note non per mancanza di qualità ma per pregiudizio è importante.

Nella stessa maniera mi sembra utile rivalutare il lavoro di molte studiose che sono rimaste nell'ombra, vittime di un sistema accademico molto maschilista. Prendo ad esempio gli studi di Adalgisa Lugli. Soprattutto pare importante uscire da un canone storico artistico che ha privilegiato una narrazione monolitica e etnocentrica che lascia ai margini le donne».

Sensibile al tema, Arturo Galansino direttore di Palazzo Strozzi a Firenze, che ha firmato importanti mostre come quelle dedicate a Marina Abramovi o Natalia Goncharova: «Il problema della presenza femminile nel mondo dell'arte è una questione per la quale i musei italiani devono dare dei segnali. Sono tantissime le donne protagoniste dell'arte moderna e seppur possa sembrare strano dover imporre una quota minima, come ha coraggiosamente fatto la direttrice della Gnam, oggi è giusto farlo per cambiare un sistema dell'arte in cui le donne son state ingiustamente e a lungo penalizzate, meno considerate dalla critica, meno rappresentate nei musei e nelle collezioni e meno pagate sul mercato. Se riuscissimo a cambiare questi paradigmi, in futuro non avremo più bisogno di imporre quote o proporzioni matematiche».

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