«Tacete, o Maschi», la rivolta in versi delle poetesse marchigiane del Trecento, prime femministe

«Tacete, o Maschi», la rivolta in versi delle poetesse marchigiane del Trecento, prime femministe
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Giovedì 1 Ottobre 2020, 15:53

«Tacete, o Maschi», così scriveva Leonora della Genga alle sue amiche del circolo di poetesse marchigiane, nel Trecento. Leonora, Ortensia di Guglielmo e Livia di Chiavello sono state le prime nella storia d'Italia a costituire un nucleo letterario composto di sole donne. In netto anticipo sulla "Querelle des femmes" che avrebbe infiammato il dibattito culturale due secoli più tardi. Parlavano di domimio maschile nella politica e nella letteratura e contestavano la società patriarcale.
I versi delle poetesse marchigiane sono adesso raccolti in un volume
“Tacete, o maschi”  (collana Talee edita da Argolibri) accompagnati da altri versi, di poetesse contemporanee, Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli.



Gualtieri, Anedda e Mancinelli hanno alimentato un dialogo in versi e lettere accorate, proprio secondo l'uso antico, con le giovani  proto-femministe del '300, rivologendosi loro, ciascuna secondo il proprio stile e le proprie affinità, in un colloquio intimo, ma apertissimo, tra epoche, scritture e, appunto, tra generi. Così, ai versi-epistola di Leonora della Genga (che danno il titolo al volume) <<Tacete,o maschi, a dir, che la Natura / A far il maschio solamente intenda, / E per formar la femmina non prenda, / Se non contra sua voglia alcuna cura>>, risponde, con una lettera-invocazione, Mariangela Gualtieri (<<E nella sua grazia gioiosa di nido / è chiara, ovunque evidente, / la forza dell’energia femminile / spingente, accudente – / la germogliante forza.>>) ; mentre Antonella Anedda compone un "Sonetto disubbidiente" (<<disperdi il seme, l’umore, smetti di sospirare per la fama / disubbidisci / stai fuori dall’elogio e dalla rima>> ) in risposta al sonetto "Io vorrei drizzar queste mie piume" che Ortensia di Guglielmo indirizza polemicamente al Petrarca (<<All’ago, al fuso, più che al lauro o al mirto, / Come che qui non sia la gloria mia, / Vuol ch’abbia sempre questa mente intesa.>>). A scandire il dialogo,  le visioni senza tempo, dal tratto contemporaneo ma ispirate alla letteratura e all'iconografia medievale, di Simone Pellegrini, artista di Ancona e docente di Pittura all'Accademia di Belle Arti di Bologna.

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