Paola Pivi: «L'autostima impulso vitale della mia arte»

Paola Pivi
di Franca Giansoldati
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Lunedì 13 Maggio 2019, 17:00
Un antro ovattato, una gigantesca distesa di materassi che copre oltre 100 metri quadrati. La stessa superficie è sovrastata da un ciclopico materasso speculare per sperimentare al suo interno - un ambiente quasi smorzato che invita a meditare in silenzio. Poi, poco più in là, nel successivo spazio creato al Maxxi (visibile fino all'8 settembre), colpisce una trama di cuscini volanti a forma di salsicce annodate, gialle e rosse, di una stoffa speciale, colorata, presa dalle tuniche dei monaci tibetani. Paola Pivi è come le sue opere, talentuosa e sorprendente. Ma il successo che l'ha raggiunta non l'ha cambiata molto. Tenace, sicura di sé, incoraggia con passione le giovani artiste che, come lei, vogliono intraprendere questo mestiere in un ambiente fortemente segnato da una impronta maschile. Non mollare mai, è il suo motto. Fare arte è un imperativo, più forte di tutto e di tutti, anche di quelle forze che provano a schiacciare tante giovani artiste. L'autostima per Paola Pivi è connaturata alla natura stessa della vita, all'unicità della esistenza, insomma, qualcosa di insopprimibile.

Paola lei ha esposto al Moma, alla Tate e nei maggiori musei al mondo. È stato difficile l'affermazione nel mondo dell'arte, visto che è un terreno ancora vistosamente marcato da una impronta maschile?
(ci pensa un po') «La risposta me la dovrei inventare, nel senso che non so se ho così successo, perché in fondo non ci sono metri per andare a giudicare un caso rispetto ad un altro. È chiaro che la situazione della donna non possiamo ritenerla paritaria rispetto a quella di un uomo».

Il mercato dell'arte non è un settore marcato dal gender gap?
«Posso raccontare una cosa che mi ha toccato profondamente. Un po' di tempo fa è morta una grande artista, Carla Accardi. È stata fatta una mostra su di lei e quando ho letto il comunicato confesso di esserci rimasta un po' male. Anzi a dire il vero mi sono arrabbiata. Il comunicato, per come era stato strutturato, appariva tra le righe piuttosto misogino. Naturalmente esaltava la figura della Accardi e la sua grandezza artistica ma tra le righe...»

Cosa si capiva tra le righe?
«In diverse parti si dava conto di alcuni passaggi della sua vita in modo non corretto. Per fare un esempio. Si diceva che questa donna aveva lasciato la sua terra natia, come se fosse stato quasi uno strappo, e non una cosa normale, paritaria. Ho preso quel testo e l'ho fatto leggere ad alcune amiche, chiedendo se lo trovassero scorretto. Tutte e tre mi hanno assicurato che per loro era normale. Io insistevo. Ma non vedevano il gradino, il gap. Per farla breve quel testo sembrava come quando in America i politici, solitamente bianchi, dopo avere ascoltato un politico di colore commentano che il suo modo di parlare, di arringare la folla, così tanto bene è articulated. Articolato. Ma è ovvio che sia articolato, è normale per tutti i politici che parlino bene, sappiano trattare con la folla e comunicare. Trovo invece assurdo sottolinearlo con questo aggettivo articulated - che è politicamente scorretto. Ecco, il medesimo meccanismo di marginalità lo avevo ritrovato nel testo della Accardi. Per tornare alle mie amiche, mi sono sorpresa che non si siano accorte di nulla, che questo particolare non sia saltato loro agli occhi. Ci ho riflettuto a lungo. Purtroppo noi donne spesso non vediamo, non ci accorgiamo di questo scalino, del gap, perché è inserito troppo bene nella trama della società e delle cose».

Ma lei personalmente è mai stata discriminata?
«La mia carriera non posso dire che abbia avuto problemi. Certo è un mondo difficile, ma non saprei dirle se non mi hanno dato un premio che magari mi sarebbe spettato. I numeri ci dicono che il mercato delle grandi mostre d'arte e la distribuzione conseguente pende dalla parte degli uomini. Tuttavia nella mia vita ho cercato di non badarci e andare avanti».

Forse perché ha una buona autostima di sè...
«Penso di essere provvista di una buona autostima. (pausa) Penso anche che sarebbe assurdo non coltivare una buona autostima. Non avere un buon concetto proprio. E lo sa perché?».

Mi dica..
«Perché di vita ne abbiamo una sola. E se vogliamo andare avanti non possiamo ignorare che il percorso vitale di ognuna di noi racchiude la propria stima. L'autostima per me è un impulso vitale. Perché dovremmo ignorarlo, o peggio ancora soffocarlo o rovinarlo? Perché non può avere una buona autostima propria se nasciamo e viviamo e abbiamo tutti gli strumenti per credere in noi stesse? Semmai la domanda che ci dovremmo porre noi donne è un'altra».

Quale?
«Posto che l'autostima sia una sovrastruttura, mi chiedo quale sovrastruttura voglia togliercela. Ci possiamo immaginare che sia la società, come almeno finora è stata organizzata, oppure la cultura dominante che è andata avanti nel tempo fino ad oggi. Naturalmente la storia ci dimostra che il mondo è stato governato tradizionalmente dalla parte maschile. In ogni caso chi toglie a qualcuno la propria autostima, forse vuole togliere delle possibilità».
Cosa si sente di dire alle giovani artiste che vogliono seguire il suo cammino?
«Di non avere paura, di fare arte, non importa se sono giovani o vecchie. Di non mollare».
 
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