Montegiove, Digital Transformation Institute: «Per combattere il Covid le pubbliche amministrazioni lascino liberi i dati»

Sonia Montegiove
di Vanna Ugolini
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Venerdì 17 Aprile 2020, 09:32 - Ultimo aggiornamento: 13:48

Sonia Montegiove, tra i soci fondatori del Digital Transformation Institute, l'istituto di ricerca italiano che studia  gli impatti del digitale sull'economia e sulla società.

Gli Open Data possono essere utili anche per capire meglio cosa sta succedendo in questo periodo particolarmente difficile da interpretare?

«Tutto il processo di apertura aiuta la scienza, la tecnologia certamente può aiutare a capire meglio il fenomeno del coronavirus. Anzi, va sottolineato che l'apertura e la condivisione delle informazioni è fondamentale soprattutto in questi tempi. Ad esempio con Open Science è più alta la possibilità che si arrivi a un vaccino».

Può farci qualche esempio di progetti concreti e recenti che sono nati dalla condivisione degli Open Data?

«Le valvole stampate in 3D da aggiungere al casco della Decathlon per trasformarlo in un respiratore sono il frutto di un progetto aperto da parte di un ingegnere che l'ha messo a disposizione della comunità. Lavorando con  Openness ognuno mette in comune un progetto aperto e condiviso che viene via via affinato e può coinvolgere chiunque: per esempio anche una scuola di provincia può avere una stampante 3D che diventa una "pezzo" del progetto»

C'è la possibilità di guadagnare impegnandosi nei programmi aperti?

«Una persone che mette a disposizione degli altri la propria conoscenza e il proprio tempo in un progetto può certamente guadagnare non sul prodotto che risulta, appunto, condiviso ma sul servizio che si costruisce intorno al prodotto, ad esempio, oppure personalizzando il programma o, ancora facendo assistenza al programma. Oppure lavorando sulla formazione rivolta a coloro che vogliono conoscere il progetto, imparare a usarlo». 

Le amministrazioni pubbliche che ruolo potrebbero avere in questo momento?
«Mai quanto adesso le amministrazioni pubbliche potrebbero aiutare a dare informazioni fondamentali per combattere il coronavirus aprendo i dati. Prendiamo per esempio la Regione Umbria: ha messo i dati che riguardano il Coronavirus in dashboard che contiene elementi già elaborati e grafici già fatti. Questo è un esempio di amministrazione virtuosa a cui vada merito.Ma bisognerebbe fare un passo in più: andrebbero forniti dati grezzi in modo che la lettura sia libera, che i giornalisti siano liberi di lavorare. E non solo i giornalisti, ma anche le macchine. Quando sono a disposizione i dati grezzi le macchine riescono a rielaborarli. Invece, a volte, si aprono dati che non servono a nessuno».

Per esempio?
«Per esempio se metto come dati liberi l'elenco dei musei e delle biblioteche quanto posso costruirci sopra? Poche cose. Se, invece, pubblico l'elenco degli eventi ci può essere un imprenditore che decide di creare una app che si basa su quei dati. Tra l'altro la pubblica amministrazione ha l'obbligo di pubblicare i dati. Altro esempio. Il dato sul trasporto pubblico a Londra e a Milano è in formato aperto e questo ha contribuito a creare moltissime applicazioni. In Umbria, invece, questo dato non c'è».

C'è anche un problema di genere nel trattamento dei dati?
«Il tema della raccolta dei dati per genere è una battaglia lunga, che comincia da lontano. Il genere nei dati non viene indicato quasi mai, nemmeno nei dati aperti e questo non consente una lettura corretta dell'informazione. Anche sui dati dei malati di coronavirus è stato richiesto di mettere pubblicamente il genere perchè la malattia potrebbe colpire in maniera diversa, come sta già emergendo. Quindi i dati dovrebbero essere sempre raccolti per genere ma, di fatto, questo non avviene. Un'altra battaglia che è stata fatta è stata quella di liberare i dati che riguardano i ginecologi obiettori per struttura ospedaliera. Sarebbe una indicazione preziosa per le donne che decidono di abortire: sapere quanti medici obiettori sono presenti in ogni struttura dà già delle indicazioni sui tempi di attesa, l'atteggiamento con cui una donna verrà accolta e così via. Questa proposta è stata bocciata per problemi di privacy. Eppure sarebbe un diritto della donna avere il dato aperto così come della stampa, per poter lavorare liberamente su informazioni così importanti. Ma le pubbliche amministrazioni sono reticenti. Pensi che  ci sono delle app che ti dicono chiaramente come vengono spesi i soldi pubblici, ad esempio. I dati aperti sono uno straordinario strumento di trasparenza ed è per questo che le amministrazioni sono spaventate e non li mettono a disposizione. Ma in tempi di emergenza come questo andrebbe assolutamente fatto».

Le donne che ruolo hanno in questo lavoro che si sta facendo sui dati aperti?

«Purtroppo succede spesso che le donne nei progetti aperti spesso si mascherano e si fanno chiamare nomi maschili per evitare un eccesso ingiustificato di critiche o per evitare di essere oggetto di maschilismo becero che nel mondo dell'informatica è molto diffuso. E' una situazione triste ma è reale e non bisogna nasconderla. Per questo quelle che fanno parte della comunità degli informatici sono brave e attive ma si espongono poco per evitare di essere oggetto di pregiudizio».

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