Peppina, la nonna che meritò un decreto: «Mai smettere di sperare, anche a 97 anni»

Nonna Peppina, Peppina, la nonna che meritò un decreto: «Mai smettere di sperare, anche a 97 anni»
di Rosalba Emiliozzi
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Martedì 27 Agosto 2019, 10:06 - Ultimo aggiornamento: 1 Settembre, 11:56

Mai smettere di sperare, di lottare, di amare. A quasi 97 anni si può essere felici. Per nonna Peppina sono giorni belli. Il gatto Oreste è tornato a casa. «Era andato a stare della mia vicina svizzera» dice. Qualche giorno prima, a Moreggini di Fiastra, borgo di 14 case distrutte dal sisma del 2016, c’era la nipote Caterina, infermiera a Pesaro. La mattina chiama sempre al telefono la figlia Agata, nubile, dirigente scolastica in pensione, che abita Civitanova Marche. Poi da Castelfidardo arriva l’altra figlia farmacista, Gabriella con marito Maurizio Borghetti e le borse della spesa. Peppina si accende in un sorriso: «Portano i viveri» dice.
 

 


Moreggini è un via vai di donne determinate. Nonna Peppina è il “ceppo” di un gene che permea i caratteri delle marchigiane di montagna: donne attive, con le idee lunghe, studiose prima lavoratrici poi, e il piglio per le grandi imprese. E da quelle parti, in pieno cratere sismico, una grande impresa l’hanno fatta davvero: porta il nome di “decreto salva Peppina” con dietro un moto spontaneo di indignazione quando l’Italia ha visto “maltrattare” una ultra novantenne che tanto assomiglia ai nostri nonni che non ci sono più.
 


Da un anno le domeniche di nonna Peppina si assomigliano e lei è tornata felice. Sveglia alle 7.30, rosario («questa è la mia forza», dice tenendo la corona in mano) e tutta bella - veste con colori alla moda - si appresta ad andare sulla veranda, il sole tiepido che filtra dai monti, l’aria profumata, i rumori del natura in sottofondo, uccellini, venticello, frusciare degli alberi.

Quel luogo non sarebbe lo stesso senza nonna Peppina, l’ha fatto diventare il centro del mondo, simbolo dell’Italia che resiste, del terremoto che non vince, della tenacia tipica della gente d’Appennino, attaccamento alla loro terra e fierezza. Nonna Peppina è tutto questo e anche più nella semplicità delle sue parole: «Io qui sto molto bene». E tanto si sta bene a Moreggini di San Martino, in provincia di Macerata, che i vicini di casa sono un tedesco, Umberto, una coppia formata da una donna svizzera e un tedesco che avevano un b&b, distrutto dal sisma, e la casa più bella del borgo con il pavimento in marmo nero acquistata da un dentista tedesco che ha rifiutato la demolizione (la sua auto sportiva è ancora lì, sepolta dalle macerie), vicino viveva una coppia di inglesi. Molti dettagli sulla storia di questo borgo antico è scritta nel libro "Faglie della Memoria" della figlia di nonna Peppina, Agata Turchetti.
 
A Moreggini di San Martino, nonna Peppina vive con Gina, amica di famiglia, in una casetta di legno costruita davanti alla sua abitazione gialla (ci sono ancora le pietre cadute sul suo letto nel 2016) dove ha vissuto con il marito Gaspare Turchetti, detto Rino, artigiano con impresa edile, che Peppina ha sposato «un mese dopo dal ritorno alla Seconda Guerra Mondiale» racconta la nonnina d’Italia, 97 anni il prossimo novembre.

Ha una memoria di ferro questa donna del 1922 nata a due chilometri, in contrada Bolognesi, e vissuta sempre a Moreggini. Ricorda nitidamente il fidanzamento con Rino, la partenza per la guerra d’Africa, il matrimonio, lo sposalizio delle due figlie, l’arrivo dei nipoti Caterina e Alberto, infettivologo al Gemelli di Roma, la vita intensa in paese. Poi il terremoto: «Quanto ho sofferto», dice Giuseppa Fattori. La figlia Gabriella, dopo le due scosse del 26 ottobre del 2016, la trovò «pietrificata in cucina», immobile per la paura e lo scompenso emotivo. «La portai via e questa volta venne via, lei che non aveva mai voluto lasciare Moreggini» racconta Gabriella. E fu la sua salvezza, le pietre potevano ucciderla e non sarebbe scampata alla scossa del 30 ottobre.

Ma in nonna Peppina la nostalgia era troppo forte e volle tornare. Sono stati due anni di traversie. Nella primavera del 2017 andò a vivere nel container, acquistato dopo il terremoto del 1997 e sistemato davanti casa, poi in estate traslocò nella casetta di legno, che però venne dichiarata abusiva perché non aveva il permesso paesaggistico e quando fu sequestrata ritornò a vivere nel container, dove si ammalò per il freddo e dovette andar via di corsa. Nel luglio del 2018, spinta da un legame profondo, volle tornare di nuovo nella sua frazione e si sistemò in una roulotte perché nel frattempo il container era stato rimosso. «Dopo un giorno è caduta, si è fratturata un polso e da lì sono iniziati gravi problemi cardiorespiratori che l’hanno costretta in ospedale per quasi due mesi - ricorda Gabriella - mamma è tornata a San Martino il 5 settembre del 2018 in seguito al dissequestro della casetta di legno».

Con una parentesi che fa ancora male. «Quando ci fu il sequestro due carabinieri forestali portarono mamma fuori di casa, era sola, trattata come una delinquente, è inaccettabile» dice la figlia. Poi la battaglia legale e mediatica, con tutto il Paese a favore di questa nonnina forte e lucida nello spiegare, davanti alle telecamere, la sua volontà di rimare a Moreggini e avere un’abitazione adatta alla sua età. Vinse lei, contro ogni previsione. Fu varato il decreto “salva Peppina”, la casetta di legno venne dissequestrata e la nonnina a settembre dello scorso anno poté rientrare.

Nel frattempo a Moreggini erano arrivati tutti: politici e personalità a sostenerla. Oggi di tutto questo resta la serenità di nonna Peppina e un procedimento penale in capo a Gabriella e al marito Maurizio per abusi edilizi. «Siamo noi i proprietari della terra. Ci sono state già state due udienze rinviate, la prossima è a ottobre - dice Gabriella - la terra è edificale e per la casetta di legno nel frattempo abbiamo ottenuto un permesso paesaggistico temporaneo, ma siamo molto preoccupati per cosa ci potrà accadere».

Da nonna Peppina, che si tiene sempre informata guardando i telegiornali, solo un monito dalla politica: «Ora ricostruite subito, non fate come all'Aquila, che è tutto fermo da 10 anni».

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