Loujan compie 31 anni in cella, torturata nelle carceri saudite: fu la prima donna ad avere guidato un'auto

Loujan compie 31 anni in cella, torturata nelle carceri saudite: fu la prima donna ad avere guidato un'auto
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Venerdì 31 Luglio 2020, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 09:47

L'Arabia Saudita si conferma essere per le donne il peggior posto dove vivere. Oggi compie in carcere 31 anni Loujan. Un compleanno amaro, doloroso. Questa giovane donna è stata arrestata nel 2018 con l'accusa di sovvertire il sistema per difendere i diritti delle donne in Arabia Saudita. Da allora la sua famiglia, a più riprese, ha denunciato anche le torture alle quali Lou è stata sottoposta dalla polizia. Le è stato praticato persino il watherboarding. Sul suo caso Amnesty International tiene acceso i riflettori nonostante il regno saudita voglia far calare sulla questione il silenzio internazionale. 



I guai sono iniziati con la battaglia di Loujain al-Hatlhoul per poter guidare una macchina. Nel 2014 divenne virale un filmato fatto infrangendo tutti i divieti anche se aprì la strada a spiragli di libertà per il mondo femminile e a un movimento che poi ha portato a togliere i divieti per le donne di guidare la macchina. Inutile dire che il video fu condiviso e visto da milioni di donne nel mondo arabo.

Tuttavia Lou fu punita con l'arresto.

Nata a Gedda e in possesso di una patente degli Emirati arabi uniti, guidò da Abu Dhabi fino al confine con l'Arabia Saudita. Il video, caricato su You Tube, ebbe una valanga di visualizzazioni e di commenti, divisi tra sostenitori e critici. L'anno prima, con il marito accanto, l’attore saudita Fahd al-Butayri, si era filmata mentre tornava a casa a Riad, sempre guidando.

Quella volta il suo caso finì dinanzi ad un tribunale militare in quanto rientrava sotto la nuova legge antiterrorismo, trattandosi di un fatto che danneggiava la reputazione del Paese. .

Nel novembre 2015, dopo la concessione alle donne del diritto di voto da parte della monarchia saudita, Loujain decise di candidarsi alle elezioni locali, ma il suo nome non fu mai incluso nelle liste, nonostante l'ammissione ufficiale delle sua candidatura. Lo stesso anno Lou venne stata inserita al terzo posto della classifica delle 100 donne arabe più potenti.

In realtà Loujain aveva rilanciato una battaglia cominciata dalle sue compatriote nel 1990, quando a decine si misero al volante per protesta e per questo furono imprigionate per 24 ore, alcune di loro persero passaporto e lavoro. Nel 2008, dopo una petizione presentata al re Abdullah, una delle sue promotrici, l’attivista Wajeha al-Huwaider si era filmata al volante mentre guidava all'interno di un complesso residenziale.

Nel 2011 fu lanciata la campagna ‘Women2Drive’, un vero e proprio appello all'azione. Su Facebook, l'iniziativa guadagnò consensi. La lotta ha portato all'emanazione - il 26 settembre 2017 - da parte del principe ereditario Moḥammed bin Salman, di un decreto reale che stabiliva il rilascio delle prime patenti di guida femminili da giugno 2018.

L’Arabia Saudita resta al 141mo posto su 149 dell’ultimo ‘Global Gender Gap Report’ del Forum economico mondiale come peggior posto per le donne nel quale vivere. Le donne vengono considerate eterne minorenni, pertanto sottoposte al controllo di un “guardiano”, un uomo della famiglia, che supervisiona tutti gli aspetti principali della vita e ha potere sulle decisioni più importanti come lavorare, studiare, sposarsi, divorziare.

Il 4 giugno 2017 Loujain è stata arrestata per la seconda volta in Arabia saudita. La ragione per l'arresto non è mai stata chiarita e non le è stato concesso di avere un avvocato o di contattare la sua famiglia.

Quando Riyad annunciò la fine dell’anacronistico divieto di guida per le donne, Loujain ricevette una telefonata in cui le autorità le impedivano di commentare la notizia o parlarne sui social. Nel 2018 la giovane donna è stata prelevata dai servizi di sicurezza – assieme al marito - e portata a Riad, dove è stata incarcerata e poi rilasciata. Da allora non è mai più uscita dal carcere. 

Tre mesi dopo l’arresto Loujain è stata trasferita in un carcere a Gedda, sua città natale, e finalmente i genitori sono riusciti a vederla. «Tremava costantemente, non riusciva a stare seduta o a tenere qualcosa in mano» ha scritto Alia, riferendo che l’attivista ha raccontato in lacrime ai genitori delle torture subite.

«È stata picchiata, affogata con il waterboarding, sottoposta a scariche elettriche, minacciata di stupro. Il tutto alla presenza di un consigliere reale, Saud al-Qahtani» ha denunciato la sorella di Loujain. 

Amnesty International, spinge le istituzioni di alcuni Paesi occidentale a chiedere a Riyad maggiore trasparenza e di aprire i propri centri di detenzione a ispezioni internazionali.

Il rapporto denuncia la situazione drammatica di una decina di esponenti di spicco del movimento femminista nel regno – tra cui Loujain – trasferite in prigione senza avere mai ricevuto la notifica formale di alcun capo di imputazione, senza aver avuto la possibilità di contattare un avvocato.

L’imponente ondata di arresti condotta nel maggio 2018 è stata giustificata dalla Casa reale da esigenze di sicurezza nazionale. Sulla base delle testimonianze indipendenti raccolte, è emerso che le attiviste sono state sottoposte a “«raccapriccianti interrogatori» per poi subire in carcere «vessazioni atroci: frustate, stupri di gruppo, waterboarding, elettroshock» inflitti dagli agenti penitenziari. Amnesty insiste per avere urgentemente un’indagine indipendente. 

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